All'indomani della guerra, di fronte alle macerie e alle rovine causate dai bombardamenti aerei, si apre un dibattito su come orientare, pianificare e attuare la ricostruzione della città. Due posizioni apparentemente contrapposte si confrontano su temi urbanistici e architettonici: quella dei conservatori e quella dei sostenitori del cosiddetto Neues Bauen. Sul piano urbanistico prevarrà per il centro storico di Monaco la linea conservativa, con la scelta di mantenere il vecchio tracciato viario, modificando però e allargando per ragioni viabilistiche tratti del Ring e alcune strade dell'impianto ottocentesco. La stessa linea conservativa porterà sul piano architettonico alla ricostruzione degli edifici monumentali e rappresentativi. Il loro ripristino è caratterizzato dalla accurata cancellazione di ogni traccia visibile delle distruzioni belliche e della materialità superstite, attraverso la restituzione artificiale di un immagine perduta e al contempo mai esistita. A fronte di ciò il tessuto costituito dall'edilizia minore sarà invece soggetto a un'opera di radicale sostituzione e trasformazione tipologica.
Conservatori e novatori, al di là delle contrapposizioni di principio, paiono legati dal comune disinteresse per le rovine, per l'autentica sostanza superstite della città e della sua storia, e intenti, per vie diverse, a perseguire lo stesso obiettivo di rimozione percettiva e materiale di presenze inquietanti.
Sullo sfondo di queste tendenze generali, l'opera realizzata da Hans Döllgast emerge come un'isolata e significativa eccezione. Il recupero di alcuni edifici monumentali, fra cui si citano per l'integrità dello stato attuale di conservazione la Alte Pinakothek e l'Alter Südlicher Friedhof, è frutto di iniziative che Döllgast stesso promuove contestualmente alla sua attività di insegnamento alla Technische Universität. Il recupero non è qui inteso nel senso ricostruttivo o sostitutivo, ma come un progetto e un processo di trasformazione e ricucitura del manufatto che è condizione per la reale conservazione e la prosecuzione attiva della sua esistenza.
Alcuni degli elementi di approccio progettuale a questa trasformazione, che qui richiamiamo in sintesi, possono fornire stimoli di interesse e di attualità anche sul piano metodologico.
Nei progetti di Döllgast le macerie e le rovine non sono intese come sostanza priva di valore, ma come risorsa materiale, economica e culturale da proteggere, reimpiegare e attivamente integrare nell'uso presente. Nel far ciò, i segni inquietanti della loro presenza vengono preservati a testimonianza di avvenimenti che un imperativo morale non consente di sottrarre alla coscienza storica. Inoltre, aspetto centrale, lo stato di rovina si rivela anche come il tramite per una feconda rilettura e interpretazione tipologica e fenomenologica, che conduce alla scoperta e all'attivazione di inaspettate e ad un tempo latenti potenzialità spaziali ed espressive di luoghi e architetture. Questa nuova sintesi include insieme alle tracce della distruzione anche i segni e i materiali delle ricuciture e delle integrazioni necessarie al ripristino funzionale. Sul piano formale e semantico si instaura fra le parti eteroclite un sapiente rapporto dialogico per analogia e contrasto carico di risonanze poetiche ed evocative.
L'opera di Döllgast nel più ampio discorso teorico e progettuale sul rapporto con le rovine.
Desidero concludere questi miei appunti sul rapporto fra architettura e rovine nell‘esempio di Döllgast tentando, sia pure sommariamente, di considerarne la collocazione nell contesto teorico e progettuale più ampio di cui è parte ancora attiva.
Inizierò pertanto menzionando l‘antagonismo fra le posizioni di Ruskin e di Viollet-Le Duc, che definiscono le posizioni estreme ed opposte in cui intorno a metà Ottocento si manifesta la dualità del moderno rapporto con le testimonianze del passato: da un lato la venerazione contemplativa per l‘autenticità del monumento o delle sue parti restanti, che ne rivendica la tutela senza compromessi contro ogni tentativo di restauro, ricostruzione o completamento; dall‘altro lato l‘idea che il monumento e la rovina possano essere coerentemente restaurati, ricostruiti e completati, se chi lo fa ha assimilato il sapere di chi li ha costruiti. Da un lato dunque la tesi e il senso dello stacco, della irreparabile rottura fra condizioni e cultura dell‘età contemporanea e condizioni e culture precedenti, e all‘opposto la tesi di una possibile continuitá della cultura umana che si potrebbe definire evolutiva.
Fra questi due estremi si collocheranno non solo per ragioni teoriche, ma anche operative, tentativi di mediazione, fra cui spicca quello di Camillo Boito a fine Ottocento. Lo irritava nei lavori di Viollet-le-Duc l‘impossibilità di poter distinguere le parti originali da quelle aggiunte o modificate, affermando così la necessità e il diritto da parte del fruitore di una percezione critica del monumento inteso come documento storico. Per il completamento di rovine antiche ipotizzava il semplice ripristino della volumetria senza apparato ornamentale. Il grado di dettaglio aumentava poi avvicinandosi l‘età dell‘edificio all‘epoca contemporanea. Questa idea di una variazione nel grado di approfondimento del dettaglio formale in dipendenza dell‘età del monumento sembra voler tradurre in termini di visibilità la differenza fra memoria recente e memoria lontana: quanto più lontano il passato, tanto più sfumati i suoi contorni.
L‘esperienza del tempo che si fa osservando una rovina o un vecchio edificio acquista un significato fondamentale per la teoria del restauro e del progetto sulle preesistenze a cavallo fra Otto e Novecento. Alois Riegl ne ricava una nuova categoria di valore estetico e psicologico da aggiungere a quelle dei valori artistico e documentale, affermando che l‘Alterswert - il valore del tempo trascorso – è espressione di un modo di sentire universalmente diffuso nella società moderna, indipendentemente dal grado di conoscenze e formazione culturale. E sarà proprio su questa percezione intuitiva della diversità fra vecchio e nuovo che si fonderà la “poetica del contrasto”, poetica fondamentale dell‘architettura moderna a confronto con le preesistenze e i contesti storici.
In un significativo saggio pubblicato su Lotus international nel 1985 Ignasi de Solà Morales descrive la parabola che nel moderno conduce dalla poetica del contrasto a quella della analogia, sostenendo che esse sono espressione di due fasi del progetto contemporaneo, quella iniziale della affermazione del nuovo sistema di valori della modernità e quella successiva di una crisi o relativizzazione della modernità. Come esempio della prima cita fra gli altri il progetto di Mies van der Rohe per un grattacielo di vetro nella Friedrichstraße a Berlino del 1922. La sagoma del nuovo edificio spicca sullo sfondo cupo della compatta e massiccia edificazione a blocchi ottocentesca - per contrasto appunto: leggerezza, trasparenza, luminosità, verticalità, individualità. In seguito si passa progressivamente, e più diffusamente dal secondo dopoguerra in poi, a un atteggiamento di dialogo con le preesistenze, che inizialmente é astratto e per così dire contrappuntistico e insieme conciliante, giocato sul piano delle relazioni strutturali fra linguaggi diversi, di cui Carlo Scarpa é stato il maggiore interprete. Per giungere infine a instaurare relazioni analogiche anche sul piano formale, fermo restando il principio della distinzione critica fra intervento contemporaneo e preesistenze.
C’é in questo numero di Lotus anche un mio saggio sull‘opera di Karl Josef Schattner nel contesto storico di Eichstät, una cittadina della Baviera. Vi annotai solo di passaggio che Schattner fù allievo di Döllgast. Ora, dopo aver osservato con più attenzione i lavori di Döllgast, l’attualità del suo approccio mi appare con chiara evidenza. Nei suoi interventi misurati si percepisce sia la volontà del dialogo “a distanza” fra cesure temporali, fra diversi linguaggi, materiali e tecniche, che la disposizione all'impiego di analogie formali, intese in funzione della ricucitura leggibile, non della cancellazione, di lacerazioni. - Lacerazioni che nel caso dei progetti di Döllgast sono testimonianza delle vicende storiche più inquietanti che hanno portato alla crisi della modernità.