Natura e cultura urbana a Modena, Comune di Modena, 1983.
Gilberto Botti
Il verde nella città storica (pp. 19-100)
Il verde nella città emergente (325-355)
Natura e cultura urbana a Modena, Comune di Modena, 1983.
Gilberto Botti
Il verde nella città storica (pp. 19-100)
Il verde nella città emergente (325-355)
INDICE
LA MORFOLOGIA URBANA
La città storica
Localizzazione degli spazi verdi nella città storica
Propositi analitici e difficoltà di ricerca
Questioni relative ad una classificazione tipologica degli isolati
Forme dell'insediamento ed articolazione sociale e produttiva della popolazione cittadina
Continuità e discontinuità dei rapporti fra spazi edificati e spazi liberi entro i confini degli isolati
GLI SPAZI VERDI NELLA CITTÀ DI FORMAZIONE MEDIEVALE
Precisazioni sulla collocazione temporale dell'analisi
Città e territorio: configurazione dei rapporti spaziali fra centro urbano e campagne circostanti nel Medioevo e nell'età comumale
Il verde e lo spazio urbano
Gli spazi verdi negli isolati di formazione medievale
Ordini mendicanti e trasformazioni dello spazio urbano
a) Gli Ordini e la città
b) Localizzazione degli insediamenti mendicanti: un confronto con altre
situazioni urbane
c) Caratteri insediativi
MODENA MODERNA E CAPITALE
Ridefinizione dell'immagine urbana e rapporto città-campagna fre Cinque e Seicento
Gli spazi verdi e la nuova dimensione insediativa negli isolati dell'ampliamento
Fra Sei e Settecento: dalla città-fortezza alla città capitale
Trasformazioni spaziali e conttraddizioni sociali nella città della seconda metà del Settecento
Considerazioni sull'evoluzione del concetto di verde nella città storica
Il verde nella città emergente
Dal "risanamento" della città storica alla "ricostruzione" dei sobborghi
Le trasformazioni dello spazio storico e il verde nell'articolazione spaziale dei nuovi insediamenti
Gli spazi verdi negli "aggruppamenti" residenziali realizzati dall'Istituto Autonomo Case Popolari ed Economiche
Una pausa verde tra "risanamento" ed espansione - il Parco da Largo Garibaldi all'ex baluardo di S. Pietro
Monumenti, aiuole e "viali grandiosi"
Il verde nella città storica
LA MORFOLOGIA URBANA
Fotografia zenitale del centro storico di Modena, 1976.
La città storica
Modena conserva abbastanza fedelmente il suo tracciato viario di formazione medievale e cinquecentesca. Gli interventi alla scala urbana che a partire dal Seicento si sono succeduti a più riprese sino alla prima metà del Novecento non ne hanno sostanzialmente snaturato l'impianto costitutivo, e la perimetrazione degli isolati, che da questo impianto risultava, si è tramandata — ad eccezione di pochi casi - pressoché inalterata sino ai nostri giorni.
Le tappe in cui si riassumono e definiscono con chiarezza i caratteri e le dimensioni della città storica sono a nostro avviso due. La prima è quella che segna la fase di espansione massima del tessuto di formazione medievale: la cinta difensiva costruita nel corso del secolo XIV include entro confini nuovi una città che dalla rinascita dei secoli IX-X è cresciuta organicamente intorno al nucleo costituito dalla piazza e dalla cattedrale, aderendo alla conformazione naturale del terreno solcato da numerosi canali (1). La seconda è rappresentata dall'ampliamento cinquecentesco: una vera e propria addizione alla città preesistente, con caratteri propri e tale da non comportare trasformazioni significative nella strutturazione di quest'ultima, poiché gli agganci viari fra città vecchia e addizione si riducono a semplici interventi di minima funzionalità della comunicazione e degli attraversamenti. L'aggiunta della Cittadella nel corso della prima metà del secolo XVII conclude poi la fase di ridefinizione in funzione difensiva del perimetro della città: la netta demarcazione fra città e campagna resterà immutata sino all'abbattimento delle mura, avvenuto fra la fine del secolo XIX e l'inizio del XX.
Si individuano così due zone chiaramente distinte e distinguibili entro il perimetro che definiamo della città storica: quella di formazione medioevale (dalla fine del sec. IX alla fine del sec. XIV) e quella di origine cinquecente-sca. Distinte in quanto effettivamente separate dalla «barriera» considerevole dell'ex palazzo ducale; distinguibili per diversità dei caratteri formali e dl-mensionali del reticolo viario e delle tipologie degli isolati.
Fasi di crescita della città di Modena dal medioevo all'età moderna. In blu a tratteggio: perimetro nella prima metà del sec. XI; in rosso: cinta difensiva della seconda metà del secolo XIV;
in verde: mura della fortificazione e dell'amplia-mento della prima metà del sec. XVI;
in giallo: Piazza d'Armi e Cittadella (prima metà sec. XVII) (elaborazioni sulla base della planimetria
attuale di Modena).
Tessuti di formazione omogenea del centro storico di Modena.
In rosso: città di formazione medievale; in verde: città di formazione cinquecentesca (elaborazioni sulla base della pianta di G.B. Boccabadati, 1684).
Localizzazione degli spazi verdi nella città storica.
Definito in questo modo il perimetro della città storica e fatta una distinzione al suo interno per zone omogenee - i cui caratteri peculiari verranno considerati successivamente - si tratta ora di individuare la collocazione relativa degli spazi verdi nel sistema più complesso degli spazi in cui l'organismo urbano si articola. L'analisi, va precisato, si mantiene qui ancora sul ge-nerale, poiché l'obiettivo di queste considerazioni introduttive è quello di fissare i termini principali della problematica, nominandoli per ciò che attiene al loro carattere di generalità, senza giungere a distinzioni specifiche.
Da come oggi si presenta il tessuto delle città di formazione medievale si direbbe che gli spazi verdi vi hanno assunto una funzione ed un peso del tutto marginali. Diversi studiosi di storia urbana si sono incaricati di mostrare il contrario, avvalendosi soprattutto delle carte che rappresentano piante di città ancora all'inizio dell'età moderna, quando il fenomeno della densificazio-ne edilizia non aveva saturato ogni spazio libero da edificazione. In molte di esse gli spazi verdi abbondano all'interno degli isolati e lungo i margini, più o meno ampi, delle mura di cinta cittadine (2).
Un'analoga tesi sarebbe però difficile da sostenere per la città di Mode-na, poiché in questo caso la cartografia, scarsa e poco dettagliata, dei secoli precedenti al XIX non aiuta granché a distinguere gli spazi liberi e verdi dagli spazi edificati.
Un dato certo, ma non esclusivo, e documentabile è comunque la presenza entro alcuni isolati del tessuto di formazione medievale di ampie zone di verde, in parte tuttora esistenti. Il problema non si pone considerando la parte di città compresa entro le mura dell'ampliamento cinquecentesco: un terreno che restò largamente inedificato sino ai primi decenni dell'Ottocento.
Si può inoltre affermare che anche a Modena si espresse la tendenza ad includere rigidamente gli spazi verdi entro i confini degli isolati ed in genere a separarli sempre più nettamente dagli spazi pubblici.
In basso: Piante analitiche sulla morfologia della città storica: secoli XIV, XVII (1684) e XX (1982).
Si noti la sostanziale permanenza nel centro storico di Modena delle strutturazioni di origine medievale e cinquecentesca. La fitta trama viaria del nucleo medievale risulta lievemente semplificata nel corso dei secoli XIV-XVII a causa dell'aggregazione di alcuni isolati per la formazione di unità insediative di più ampie dimensioni (complessi conventuali, soprattutto nella zona a sud della via Emilia). Nonostante i tentativi rivolti a cancellare il volto della città medievale dall'età di Antico Regime sino agli anni Trenta del nostro secolo, Modena conserva ancora oggi i connotati di una strutturazione antica, legata ai caratteri della conformazione naturale del terreno solcato da numerosi canali, e insieme aderente all'articolazione sociale e produttiva dei suoi abitanti.
Le piante topografiche di Modena disegnate nel corso del Settecento, quando non si basano su quella già tracciata da Boccabadati, scadono rispetto ad essa quanto a precisione e scientificità del rilevamento. Mentre registrano assai approssimativamente i mutamenti nel frattempo intervenuti alla scala urbana, restituiscono un'immagine unitaria e sintetica della città, impreziosita spesso da una grafia che simbolizza decorativamente gli elementi e gli spazi naturali.
"Pianta della città di Modena coi suoi scoli sotteranei pigliata l'anno MDCLXXXIV" (da Gio. Battista Boccabadati).
Modena, collezione privata. Inchiostro e acquerelli policromi; cm 175 x 150. In basso sotto il titolo "scala di pertiche sessanta".
"Pianta della Città di Modena coi suoi scoli sot-terranei" pigliata l'anno MDCLXXXIV - scala di pertiche cinquanta - ridotta in questa forma da Domenico Vandelli nel Novembre 1743 (ASCMo, Raccolta mappe, Penna e acquerelli policromi, mm. 780x101).
Rogier de Beaufort, «Mutina Reaedificata regnante Francisco III, an. 1770»
"Pianta della città di Modena - Stato Estense" prima metà del sec. XIX (Modena, Museo Civico Medievale Moderno, Raccolta stampe).
Propositi analitici e difficoltà di ricerca
Data la collocazione prevalente degli spazi verdi cittadini entro il perimetro degli isolati, l'attenzione dovrà rivolgersi in particolare a cogliere in queste porzioni di città le forme dell'insediamento, le particolari relazioni intercorrenti fra spazi edificati e spazi liberi, l'eventuale mutamento di queste relazioni, come conseguenza di successivi processi di edificazione o come effetto di radicali opere di sostituzione edilizia; in ultima analisi il determinar-si, trasformarsi o permanere di forme particolari di uso del suolo, in ragione di bisogni, interessi e condizioni derivati dall'ambiente, dalle tecniche di co-struzione, dalla dialettica sociale.
Simili propositi analitici si scontrano però subito con alcune difficoltà di ricerca, parte delle quali insormontabili.
E il caso, quest'ultimo, della cartografia - strumento indispensabile per fissare visivamente forme, dimensioni e rapporti spaziali fra le diverse parti componenti l'ambienté cittadino e, più nel dettaglio, i singoli isolati. Le carte topografiche che risalgono al XVI secolo non rappresentano che piccole parti - e in modo assai approssimativo - della città di Modena. La prima pianta dell'intera città di cui si conosce l'esistenza è quella disegnata da Gian Battista Boccabadati nel 1684. In essa, però, gli isolati sono rappresentati nella loro semplice perimetrazione esterna, quale risulta dal tracciamento dei percorsi stradali: nessuna precisazione grafica al loro interno consente di distinguere fra spazi edificati e non edificati.
Un'importante pianta prospettica della prima metà del Seicento è stata recentemente rinvenuta in un manoscritto della Biblioteca Estense. Pur non trattandosi di un rilievo eseguito con rigorosa precisione, rappresenta comunque un'eccezionale testimonianza (se confrontato con lo scarso e tutto sommato qualitativamente modesto materiale documentario iconografico su
Modena nel secolo XVII), per la luce che getta sulla consistenza dell'edificato, sui caratteri tipologici più generali di isolati, edifici, spazi liberi e verdi a pochi decenni dall'avvenuta trasformazione di Modena da roccaforte militare a capitale del Ducato estense.
Pianta prospettica di Modena, metà del sec. XVII. È un importante documento, che restituisce con buona approssimazione i caratteri di strutturazione della città, l'elevato grado di densità edilizia nella zona di formazione medievale e i connotati insediativi più generali alla scala di isolato.
Le planimetrie dell'intera città disegnate nel corso del secolo XVIII si basano essenzialmente su quella delineata da Boccabadati alla fine del secolo precedente. In alcune di esse si giunge ad una individuazione sommaria principali orti e giardini. Per avere informazioni più precise e dettagliate occorre giungere ai primi decenni dell'Ottocento.
Ma le fasi di formazione della struttura della città storica, si è detto, risalgono ai secoli IX - XIV e XVI - XVII. Come è possibile per essi tracciare un quadro attendibile, sia pure approssimativo, della conformazione ed articolazione degli spazi costruiti e liberi all'interno degli isolati? In altri termini, come è individuabile il sistema degli spazi verdi nelle sue relazioni con il tessuto edificato della città?
Le fonti documentarie cartografiche non sono l'unico strumento a disposizione per la lettura ed interpretazione dell'evoluzione storica della città.
A integrazione, ed in parte a sostituzione della loro mancanza, possono soccorrere fonti documentare scritte, che in genere presentano due caratteri uno che potremmo definire semplicemente narrativo-descrittivo (le «crona-che» in particolare); l'altro in cui l'elemento descrittivo è strumentale a fini di diversa natura, come norme statutarie, atti notarili ed altre disposizioni e regolamenti. Mentre il primo tipo di fonti fornisce il dato oggettivo filtrato dall'interpretazione soggettiva, e consente così di cogliere aspetti interessantissimi della cultura, dell'ideologia, delle forme mentali di individui appartenenti all'epoca ed alla società stessa di cui descrivono gli avvenimenti a loro avviso più significativi; il secondo tipo, pur non essendo mai mera testimonianza oggettiva, riferisce comunque con maggiore distacco il dato concreto o le regole con cui si mediano i rapporti fra i diversi soggetti sociali e fra essi e l'ambiente.
Un'attenta lettura ed interpretazione delle fonti documentarie scritte, specie delle più antiche, richiederebbe però di andare ben oltre i limiti temporali entro cui si colloca questa ricerca. La risposta che qui si tenta di dare a questo intreccio di difficoltà e di propositi parte perciò da alcune considerazioni preliminari, che nascono da una lettura del materiale documentario - sia cartografico che scritto - sino ad ora reperito, alla luce delle trasformazioni che la città storica ha subito nel corso dell'età moderna e contemporanea.
Carandini, "Pianta della Città di Modena",
1825 - Penna e acquerelli policromi, mm. 780x980 - (da Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia e Roma-gna, La cartografia storica negli archivi pubblici di Vienna dell'odierna Emilia Romagna, 1982, ricerca svolta da Raffaella Ferrari e Stefano Pezzoli).
Cafassi Giacinto, "Pianta di Modena nel 1859". -> Modena, Archivio Storico Comunale.
La topografia urbana modenese si fa più precisa e ricca di dettagli nel corso dell'Ottocento. Il disegno giunge a definire la conformazione interna degli isolati e a volte restituisce l'impianto distributivo di alcuni edifici pubblici. Un'attenzione particolare viene assegnata anche al disegno dei corsi d'acqua e degli spazi verdi.
Questioni relative ad una classificazione tipologica degli isolati
Ci si sofferma qui a considerare principalmente il tessuto urbano medievale, le cui ragioni di formazione, rispetto agli obiettivi che si propone questo studio, sono di più difficile ricostruzione.
Disponiamo di una serie di fonti documentarie e di alcuni approfonditi studi su singoli e limitati aspetti della storia topografica di Modena medievale che ci consentono di constatare l'identità sostanziale di gran parte del reticolo viario nel suo nucleo di più lontana formazione con la situazione attuale (3). Da ciò ricaviamo che la forma e le dimensioni esterne degli isolati quali appaiono dalla pianta di Gian Battista Boccabadati del 1684 possono essere assunti - ad eccezione di quelli situati ai margini delle mura fortificate intorno alla metà del sec. XVI e di pochi altri interni (oltre, ovviamente, a quelli compresi nella zona della addizione erculea) - come gli stessi che già esistevano almeno tre secoli prima, all'epoca della costruzione della penultima cerchia difensiva.
Sotto il profilo formale e dimensionale è abbastanza evidente l'analogia di un certo numero di isolati - sono quelli di forma stretta ed allungata. Ciò ha spinto alcuni studiosi a formulare una classificazione tipologica nei seguenti termini: «Il fitto intreccio dei canali principali e dei loro raccordi secondari ha dato origine alla caratteristica tipologica degli isolati del nostro centro storico. Questi sono per la maggior parte di forma stretta ed allungata, percorsi longitudinalmente da un piccolo canale, ora ricoperto. Originariamente il canale, scoperto, aveva la funzione di fognatura e si trovava sul retro delle case che avevano il fronte sulle vie parallele ad esso» (4).
Le ragioni di formazione di questa tipologia degli isolati sono dunque prevalentemente riconducibili alla conformazione naturale del terreno su cui sorse la città (5). Le stesse ragioni non aiutano però a spiegare la presenza di un numero non trascurabile di altri isolati, che per forme e dimensioni non possono rientrare nella medesima classificazione. É allora necessario associare altre considerazioni a quelle di carattere geomorfologico.
Forme dell'insediamento ed articolazione sociale e produttiva della popolazione cittadina
Le tipologie degli isolati sono evidentemente riconducibili ad una serie più complessa di fattori costitutivi. Fra questi, oltre alle condizioni ambientali, svolgono un ruolo non secondario le esigenze degli individui, famiglie, gruppi o comunità che si insediano stabilmente nella città; i mezzi, i materiali e le tecniche storicamente disponibili per tradurre spazialmente queste esigenze; eventuali norme o criteri prestabiliti dagli organismi pubblici di governo al fine di regolare, direttamente o indirettamente, le forme di crescita della città.
Per quanto più direttamente ci riguarda, nelle diversità di forme e dimensioni fra gli isolati e, al loro interno, nei molteplici rapporti che si istituiscono fra spazi edificati e spazi liberi, si legge la presenza determinante del dato sociale: i diversi modi dell'insediamento riflettono nella sostanza le diverse esigenze, possibilità, tradizioni insediative della popolazione cittadina, considerata nelle sue varie articolazioni sociali e produttive.
Così ad esempio il fatto che gli isolati in cui si insediano le comunità religiose siano generalmente di ampie dimensioni e di forme diverse rispetto a quelli sopra considerati denota in essi la necessità di uno spazio aggiuntivo da destinare alla coltivazione ortiva per soddisfare una parte del consumo alimentare e corrispondere a determinate regole di vita dei religiosi, e insieme la continuità di una tradizione insediativa i cui caratteri formali si riproducono anche entro le mura cittadine, quando si assiste al fenomeno dell'inurbamento della proprietà ecclesiastica ed alla formazione degli ordini mendicanti a partire dal secolo XIII(6). Da ciò consegue una determinata e caratteristica configurazione del rapporto fra spazi edificati e spazi liberi, e dunque il ruolo preciso che in questi insediamenti viene assegnato al verde.
Dall'altro lato la folta presenza delle classi artigiane in città, che già nel corso del secolo XIII si organizzano in corporazioni e giungono ad esprimere e a far valere una volontà politica con la loro presenza nel Consiglio comunale (7), si manifesta in una forma dell'insediamento i cui caratteri di costanza e peculiarità tipologica, nel riservare soltanto episodicamente agli spazi verdi piccole strisce di terreno sul retro degli edifici, rimandano insieme a ragioni di funzionalità derivate dalle attività stesse dei residenti ed alla dimensione economica e frammentazione proprietaria che li contraddistingue.
La nobiltà, infine, radicata com'è nel possesso fondiario delle campagne, il cui sfruttamento costituisce come per la proprietà ecclesiastica la fonte essenziale delle ricchezze, trovando nella città soprattutto il luogo di esercizio delle funzioni politico-amministrative, esprime questa sua presenza in una forma dell'insediamento che inizialmente non molto concede al respiro degli spazi verdi intesi come appendice «naturale» dei palazzi - tutti protesi, questi ultimi, ad istituire compiutamente un adeguato rapporto con la scena pubblica -, ma che in seguito, nel tessuto di formazione cinquecentesca, attribuisce sempre più ad essi un ruolo non secondario; soprattutto quando, nel corso del XVII, ma più accentuatamente nel XVIII secolo, la città, divenuta sede della corte, si trasforma essa stessa in corte nei confronti del territorio.
Queste considerazioni sul rapporto che si istituisce fra forme dell'inse-diamento e soggetti sociali e produttivi che le determinano vanno poi integrate dalla messa in rilievo dei caratteri di staticità o di dinamicità propri di ogni categoria, gruppo, classe sociale, così da completare la visione di tale rapporto nella sua prospettiva storica.
Continuità e discontinuità dei rapporti fra spazi edificati e spazi liberi entro i confini degli isolati
Abbiamo sin qui dato rilievo agli elementi di continuità e di permanenza della struttura urbana di formazione medievale e cinquecentesca, a quegli elementi della città storica che ancora oggi si conservano. Con ciò non si è inteso sostenere che Modena non abbia subito trasformazioni di portata considerevole - trasformazioni cui peraltro accenneremo nel corso di questo studio -, ma far notare come l'impostazione viaria che essa ha ricevuto inizialmente non sia stata sostanzialmente intaccata, fatte salve alcune eccezioni, dagli interventi posteriori; quelli, per intenderci, che si sono succeduti a partire dal secolo XVII. Interventi, per altri versi, di grande significato, poiché esprimono la costante volontà delle classi dirigenti di rimodellare il tessuto cittadino medievale in base alle rinnovate esigenze di rappresentatività della scena pubblica, ma anche di una vera e propria zonizzazione di classe, di una ridefinizione della distribuzione della popolazione, prima entro i confini della città fortificata, poi all'esterno, nella campagna circostante, che mira in sostanza all'obiettivo di una riqualificazione del centro come sede privilegiata della residenza e delle attività amministrative e di coordinamento proprie delle classi che detengono il potere politico ed economico. In questo disegno di riqualificazione è rivolta una particolare attenzione ai servizi. Fra essi rientra anche il verde, inteso ad un tempo quale «diletto» dei cittadini e «polmone» risanatore del rinnovato centro.
Se questa è la tendenza, la portata degli interventi, che si sono succeduti al di fuori di un piano organico generale, non giunge però a porre in discussione un assetto viario, una strutturazione della città che risente fortemente della impostazione originaria.
Dove invece si misura appieno la portata di questi interventi è alla scala più ridotta dell'isolato. Qui i rapporti fra spazi costruiti e spazi liberi vengono costantemente rimessi in discussione.
La tendenza più generalizzata è quella della densificazione edilizia, anche se non mancano esempi in cui gli spazi verdi conservano tutt'ora una dimensione ragguardevole. Questo dato è di facile lettura sulla pianta attuale del centro storico; essa mostra che l'insediamento di origine artigiana e popolare non riserva ormai spazio alcuno ad orti e giardini, i quali si concentrano pressoché esclusivamente negli insediamenti di origine conventuale. L'analisi che svilupperemo in seguito mostrerà che qui le trastormazioni sono state in genere di minore entità rispetto a quelle che hanno interessato il tessuto insediativo artigiano e popolare. In quest'ultimo il processo di densificazione edilizia si è prodotto in termini assai rilevanti; una sua precisa quantificazione e periodizzazione pone però grosse difficoltà alla ricerca, per le ragioni che già si sono accennate a proposito delle fonti di cui si dispone.
In linea generale possiamo sin d'ora considerare che la staticità di una forma insediativa quale quella conventuale, che tende quasi a cristallizzare i rapporti stabiliti al termine della fase di formazione fra spazi edificati, cortilivi e coltivati, corrisponde alla tendenza di conservazione dei caratteri sociali ed economici delle comunità religiose, che fondano il proprio mantenimento sulla continuità di assetti proprietari, di rapporti di produzione ed infine di un ciclo dell'esistenza che quasi non lasciano margini a qualunque processo di trasformazione.
All'opposto, l'instabilità delle forme insediative della popolazione artigiana, dei commercianti e dei ceti popolari riflette l'instabilità stessa di queste classi, che rappresentano la parte più dinamica della società cittadina; una parte che evolvendosi, soprattutto a partire dall'Ottocento, sempre più condizionerà gli assetti e le forme espansive della città.
Precisazioni sulla collocazione temporale dell’analisi
L'ambito spaziale dell'analisi è quello della città medievale che già abbiamo definito. Resta da precisarne la collocazione temporale, e qui concorrono essenzialmente due ragioni a sostegno di una scelta: quella del secolo XIV. La prima è che le fonti e gli studi più approfonditi sulla topografia di Modena medievale riguardano il Trecento: la seconda risulta dalla considerazione che alla fine di questo secolo la città definisce il limite massimo di una crescita dai caratteri omogenei, iniziatasi cinque secoli prima; fissando con ciò i confini di un'area che — se si eccettua la parte di addizione cinquecentesca, le piccole rettificazioni del perimetro apportate dalle opere di fortificazione e la appendice seicentesca della Piazza d'Armi e della Cittadella - resterà la stessa per cinque secoli avvenire.
Oltre a ciò va considerato il dato di relativa indefinitezza ed instabilità che caratterizza la parte più estesa del tessuto edilizio, soprattutto per quanto attiene alla configurazione dei rapporti funzionali e spaziali fra «costruito» e «verde», almeno sino ai secoli XIV e XV. Indefinitezza e instabilità dovute, per esempio, all'impiego prevalente del legno quale materiale principale da costruzione, per cui era costantemente presente il pericolo di incendi, che da un edificio si estendevano con facilità ad interi isolati. E sufficiente qui ricordare che ancora nel 1347 ben 63 case negli isolati compresi fra Rua Carretti (attuale vicolo Squallore) e Rua Campanara (ora Campanella) furono distrutte dalle fiamme (8). Ál proposito è assai significativa una notizia che si ricava dagli Statuti dell'Arte dei Marangoni in merito ad una singolare attività dei muratori e dei falegnami, i quali, in caso di incendio, venivano pagati per demolire le case circostanti a quelle che ardevano, al fine di isolare il focolaio (9). Giuseppe Campori, nella presentazione dell'edizione a stampa de-gil Statuti cittadini del 1327 (10), fa notare come in essi diverse rubriche siano rivolte a regolare 1 problemi relativi ad una «disposizione perniciosissima», per la quale si comminava come pena contro esuli politici e criminali l'atter-
ramento delle case di loro proprietà.
L'analisi sulla città di formazione medievale non parte dunque dagli «inizi», ma si cala in un contesto urbano i cui caratteri essenziali - quali ad esempio l'articolazione dei percorsi stradali principali, la individuazione del luoghi e degli spazi collettivi, la definizione di forme insediative peculiari e ricorrenti - pur essendo da tempo delineati, dovranno ricevere nel corso dei secoli XIV e XV un'ulteriore specificazione nei termini di un consolidamen-to, a volte anche di un «arricchimento», altre volte ancora di modificazioni che soltanto il raggiungimento di nuovi equilibri politici e il verificarsi di mutamenti strutturali nell'economia, con l'assoggettamento sempre più rigido della campagna alla città, potranno consentire.
Alberto Balugoli, "Ritratto della Città di Modena, e del suo antico Contado, posto per lo più tra Secchia e Panaro fiumi, la cui lunghezza dall'Al-pe al Finale ovvero da Garbino a Greco, si stende per miglia 70, e la larghezza, dove è la mag-giore, è intorno a 20. Confina con Bolognesi verso Levante, e Ostro, e con Reggiani alla parte di Tramontana, e Occidente". In Modena, l'anno 1571 (Fischetti, 1970, tav. II).
Fra Teofilo (Monacus et Procurator S. Petri),
"Modena nel 1447" (da P. Riccardi, Aggiunta alla nota dichiarativa dell'autografia di alcune piante della città di Modena, 1894).
La città appare come un recinto fortificato che racchiude una piccola porzione di territorio. Le strade che da essa si dipartono ed i canali che la attraversano (entrando da sud in gran numero ed uscendo a nord convogliati nel Naviglio) costituiscono gli elementi fisici che la pongono in relazione con l'ambiente circostante. Quest'ultimo è tratteggiato come una campagna riccamente popo-lata, con palazzi, case, chiese e mulini. Ad est la maglia poderale è ordinata perpendico-larmente alla Strada Claudia e a sud si estende la zona paludosa.
Città e territorio: configurazione dei rapporti spaziali fra centro urbano e campagne circostanti nel Medioevo e nell'età comunale
Ad uno sguardo di ampia scala la città storica appare come un nucleo edificato serrato, ben definito rispetto al territorio circostante: le mura, che hanno funzione difensiva, delimitano con nettezza il confine che la separa dalla campagna. Si direbbe che la città sia un organismo autonomo, che viva di vita propria: in un certo senso però è da considerare come un prodotto del territorio; nel senso cioè che quest'ultimo costituisce da sempre la sua base fondamentale di esistenza, fornendole alimenti e materie prime per la lavorazione artigianale ed industriale.
Le ragioni di formazione della città non si spiegano dunque sufficientemente se viene a mancare la visione dei nessi che la collegano alla campagna.
Lo stesso rapporto che all'interno della città si istituisce fra spazi edificati e spazi liberi, le dimensioni e le funzioni differenti che nel corso della loro storia i cittadini assegnano a questi ultimi, sono tutti fatti che si possono meglio comprendere se la città non viene vista come microcosmo autonomo e separato dal contesto «naturale» circostante, ma al contrario considerata come aggregazione di individui e di funzioni ad esso strettamente correlati e da esso direttamente dipendenti.
La città a sua volta condiziona il territorio in quanto lo assoggetta ai propri bisogni ed interessi.
Città e campagna, nella loro unità e contemporanea distinzione, sono dunque espressioni dell'esistenza di un unico corpo sociale, al suo interno variamente articolato, che assegna all'una e all'altra funzioni specifiche, ed esprime nella loro diversità i termini fondamentali di una rigida e costante divisione del lavoro. In questo senso la campagna non è propriamente il luogo naturale, contrapposto all'ambiente artificiale della città: entrambe sono prodotti della trasformazione del territorio; la prima in funzione della coltivazione agricola, la seconda inizialmente soprattutto quale sede di confluenza, di raccolta e di redistribuzione e consumo dei prodotti della campagna: sede di comando, di amministrazione, di mercato.
Risulta da ciò evidente che la nostra analisi degli spazi verdi nella città di Modena, intesi come aspetto particolare del sistema articolato di funzioni che definiscono lo spazio urbano, non può prescindere dalla considerazione del rapporto che si istituisce fra città e campagna.
Tale rapporto presenta molteplici aspetti, che conducono in sintesi alla visione di una città quale insediamento sin dall'inizio caratterizzato dal prevalere di funzioni amministrative, di controllo e coordinamento della campagna circostante (11).
Questo carattere è essenziale e lo si individua già all'inizio della rinascita di Modena nei secoli IX, X.
Le grandi corti già appartenenti all'imperatore (Baggiovara, 970; Solara, 1029; Ganaceto, 1025)(12) passeranno nelle mani dei vassalli della corona divenendo feudi, andando così ad alimentare il patrimonio matildico e della Chiesa. La piccola proprietà è anch'essa presente ed anzi conserverà tenacemente la sua fisionomia anche in epoche successive; il modo di conduzione è massarizio, il proprietario risiede in città.
Grande e piccola proprietà nella loro collocazione, dimensione ed articola-zione spaziale e funzionale delineano i caratteri di conformazione del territorio ed i nessi fra questo e la città; insieme rappresentano l'immagine fenomenica degli assetti proprietari e dei rapporti di produzione, ne costituiscono la traduzione spaziale-funzionale, l'estensione e la forma.
L'origine è anteriore, è fissata dall'ordinamento romano, del quale si riscontra in Modena una continuità sostanziale anche attraverso e oltre il periodo delle invasioni.
Nel IX secolo costituzione fondiaria e distribuzione della terra seguono le linee determinate al tempo dei romani: attorno alla città vi è la piccola proprietà, fundi coi nomi di peciolae e curticellae; più oltre i grandi dominii, latifondi regi, ecclesiastici e privati: le curtes divise in mansi dipendenti dalla domus culta; ed infine il publicum, terre abbandonate passate al fisco regio (13).
È interessante considerare l'organizzazione economica della curtis, con la peculiare articolazione spaziale-funzionale che ne consegue, poichè essa ricalca gli schemi della villa romana, e ad essa ancora è riconducibile l'impianto dei possessi rustici dei monasteri. Tale modello verrà in un certo senso riprodotto dalla città, ad una scala superiore, con una maggiore complessità di situazioni e di relazioni sociali ed economiche; però coi medesimi caratteri di accentramento del comando per la subordinazione del territorio circostante e dei suoi abitanti ai propri bisogni ed interessi. Al centro sta l'abitazione del padrone con gli annessi edifici per la raccolta e la conservazione della quota padronale dei prodotti, e «intorno la terra dominica, il dominicatum, dominicatum de curte» (14); più lontano ancora altre terre coltivate, sempre appartenenti alla corte, le massariciae rette da massari, che pagano censi ed angarie e danno inoltre svariate prestazioni.
Altrettanto corrispondente alla villa è il chiostro, che ha intorno il dominico coltivato dai servi, il vicus circa villam, e più oltre concede appezzamenti ai coloni ed infine comprende il bosco ed il pascolo. La rinascita della città coincide con il progressivo accentramento in essa della proprietà fondiaria, sia della grande che della piccola, e con il parallelo sviluppo dell'agricoltura.
La piccola proprietà si moltiplica anche come frazionamento dei grandi pos-sessi, mediante l'assegnazione di fondi in enfiteusi, a livello o in locazione ereditaria. Chi organizza e controlla questo movimento di genti su terre nuove sono soprattutto i cittadini, che assumono la funzione di intermediari, stipulando un contratto col proprietario di una corte, «della quale ricevono una porzione con l'obbligo di mettervi un coltivatore che l'avrà ad residen-
dum et abitandum et tam ipsa casa et res bene coltivandum» (15).
Si forma così in città un ceto di benestanti dalla eterogenea provenienza, omogeneo però al suo interno per la iniziale diretta dipendenza dai potenti laici ed ecclesiastici, rispetto al quali tenderà progressivamente a staccarsi e contrapporsi. «I boni homines e i sapientes, gli stessi poi che saranno consoli, assessori nei tribunali marchionali, sono enfiteuti di questo o quel signore: gente salita in fortuna nella città con le terre livellate a bassi canoni, favorita dagli aumenti della rendita fondiaria, o gente discesa dalla piccola nobiltà feudale e poi accolta dai maggiori potenti al loro servizio, adoperata a varie funzioni, beneficata largamente, dotata di decime, di chiese e di terre» (16). Questo ceto, composto di persone esercitanti arti liberali o mestieri, di
preti coi figli e di militi, costituirà «l'anima del comune».
Da qui, nella città, prenderà avvio il processo di dissoluzione della costituzione politica ed economica del feudo; dissoluzione che sarà sancita giuridicamente dalla trasformazione del livello in allodio. Così nel 1227 il Comune di Modena obbliga il Vescovo ad accettare l'affrancamento dei livelli,
•qualora i livellari offrano 5 soldi imperiali per ogni denaro imperiale di canone (17). Gli statuti del 1327 giungono poi ad abolire onoranze, servitù e prestazioni che abbiano carattere feudale in ogni casamento situato entro un raggio di 10 miglia dalla città e dai borghi (18). E in questo modo si liberano le terre dai vincoli feudali, immettendole nel sistema di rapporti dell'economia monetaria, implicante la permutabilità fra le merci. Ma ciò significa non di meno liberazione dei lavoratori della terra, mediante l'abolizione della servitù della gleba e la difesa dei villici dalle pretese e molestie arrecate dai signori. Ed é così infine che si infoltiscono le milizie cittadine e si drena abbondante mano d'opera dalla campagna alla città, creando con ciò le premesse di importanti trasformazioni economiche sia entro le mura cittadine che nei sobborghi e nei territori agricoli allodiali della borghesia.
Questa lotta per l'abolizione della forma di proprietà feudale si rivolge soprattutto contro il ceto ecclesiastico, che d'altra parte è quello più di tutti tendente alla conservazione dei rapporti esistenti (19). Si tratta in sostanza di misure in favore della «minuta e grassa borghesia cittadina» allora emergente, che creano una numerosa piccola proprietà fondiaria e che, liberando un gran numero di coltivatori, arrecano mano d'opera ai proprietari urbani di fondi rustici.
La popolazione aumenta in città e nella fascia di contado circostante. Lo testimoniano gli ampliamenti delle mura dalla fine del sec. XI alla fine del XIV. I dati sulla demografia in età comunale sono assai incerti e contrastanti (20); pare comunque che si possa ragionevolmente pensare ad un numero oscillante intorno ai 20.000 abitanti. Nei secoli XII e XIII alleanze commerciali fra comuni testimoniano poi dell'accresciuto traffico delle merci (21), mentre le classi artigiana e mercantile aumentano di numero ed importanza giungendo a dare forma politica alla propria presenza in città.
L'insieme di questi processi si riflette sul piano edilizio ed urbanistico, concorrendo in misura non secondaria a definire quantitativamente e qualitativamente i termini di crescita della città.
Fotografia zenitale del centro medievale di Modena. Area di massima estensione della città di formazione medievale, incluso l'ampliamento del sec. XIV. A differenza delle città precedentemente considerate (Firenze, Bologna, Padova), Modena si caratterizza per l'assenza di ampie porzioni di terreno libero fra le mura e il tessuto edificato (come mostra già con evidenza la pianta prospettica risalente alla metà del Seicento).
Piante di Firenze, Bologna e Padova, (dall'Atlante Geografico Zuccagni-Orlandini, Firenze,
1844). Sono esempi di città nelle quali l'ultimo ampliamento delle mura coincidente con la fase di massima espansione dell'età comunale (fra la fine del sec. XIII e la prima metà del XIV) ha assunto dimensioni rilevanti, includendo ampie porzioni di terreno non edificato. Le piante qui riprodotte, risalenti alla prima metà dell'Ottocento, mostrano come ancora a distanza di cinque-sei secoli molti appezzamenti ortivi e giardini si frapponessero al tessuto edificato dalla parte interna delle mura.
Gran parte delle aree verdi tuttora esistenti ai margini di diversi centri storici di formazione medievale rappresenta una eredità dell'antica riserva di terreno libero inclusa entro le città in epoca comunale.
L'ampliamento delle cinte difensive attuatosi fra la fine del Duecento e la prima metà del Trecento in molte città italiane centro-settentrionali e dell'Europa centrale corrispose alla necessità di includere, per proteggerli dagli assedi degli eserciti nemici e per farli parte integrante del tessuto urba-no, i sobborghi sorti al loro intorno nella fase di massima espansione economica e demografica.
La previsione degli sviluppi futuri, le possibilità finanziarie dei comuni e la conformazione naturale dei terreni furono alla base dei criteri adottati per la costruzione delle nuove cinte difensive e l'allargamento dei confini delle città.
Avvenne così che a Firenze, a Siena, a Bologna, a Padova - per citare gli esempi riportati da Benevolo (22) - le nuove mura non si limitarono ad includere la più o meno stretta porzione di territorio popolato dei sobborghi, ma andarono oltre, a comprendere una parte di campagna che tale si mantenne a lungo, costituendo una riserva di suolo edificabile, soltanto a distanza di parecchi secoli, in molti casi sino ai primi decenni dell'Ottocento, progressivamente coperta dalle nuove costruzioni. Nel frattempo i prati liberi venivano destinati alla coltivazione agricola, fornendo una quota di prodotti alimentari certamente non sostitutiva di quella offerta dalle campagne che si stendevano al di là delle mura e che direttamente dipendevano dal mercato e dai proprietari cittadini, ma tale comunque da assicurare una prolungata autonomia alimentare in tempi di assedi militari.
Diversamente avvenne a Modena, dove l'ampliamento non assunse dimensioni particolarmente rilevanti, limitandosi ad includere un anello di territorio che, se ancora non completamente saturo di edifici, presto fu occupato dalle nuove costruzioni. Una pianta prospettica della prima metà del Seicento testimonia che il processo di saturazione edilizia del suolo urbano era già allora in fase assai avanzata, essendo scarsi ed esigui, ormai, entro la zona riconoscibile di formazione medievale, gli spazi liberi posti ai margini delle mura ad ovest, sud ed est, dove la nuova fortificazione voluta dal duca Ercole Il d'Este cingeva la città seguendo sostanzialmente le tracce della «fa-
scinata» trecentesca.
Questa condizione restò alla base degli sviluppi dei secoli successivi, determinando uno dei caratteri più peculiari del rapporto fra spazi liberi e spazi edificati entro i confini della città murata e in pari tempo fra il compatto centro edificato e la campagna circostante. Ancora oggi tali caratteri sono chiaramente individuabili, nonostante alla campagna si sia sostituito un territorio fittamente punteggiato da edifici sorti a partire dalla fine del secolo scorso, distinguibile immediatamente dal tessuto della città storica per i diversi criteri insediativi che ne hanno regolato la crescita.
Ad uno sguardo alla situazione attuale, il nucleo di formazione medievale si presenta assai densamente edificato; poco è rimasto di quei pur esigui ritagli di verde che si frapponevano, dall'interno, alle mura di cinta, fortificate durante la prima metà del Cinquecento e sostituite fra la fine del sec. XIX e gli inizi del XX da una cintura viaria a tratti fiancheggiata da aiuole verdi e alberature. Alcuni spazi verdi dalle dimensioni considerevoli, rigorosamente racchiusi da un perimetro murato, si conservano ancora all'interno degli isolati più periferici del nucleo medievale: un tempo erano gli orti dei complessi conventuali, situati in maggior numero nella zona a sud della via Emilia.
Ma al di là della fascia più marginale del vecchio centro e ad esclusione degli appezzamenti ortivi annessi ai conventi, molto scarsi dovevano essere glị spazi verdi in città già a partire dal secolo XIV. Il tessuto urbano era costituito dal fitto intreccio di strade in maggioranza assai strette, raramente interrotte da larghi e piazze, percorse spesso da canali scoperti, che fungevano da fognatura e da forza motrice per l'azionamento delle pale di mulini, filatoi, ecc. Lungo le rive dei canali, quando lo spazio lo consentiva, sorgevano orti, si depositava concime, a volte si costruivano case. Il terreno era concesso in livello ai privati dalla Comunità (23).
Strade e canali delimitavano isolati spesso simili fra loro per forme e dimensioni. Gli appezzamenti ortivi che al loro interno a volte si frapponevano agli edifici erano protetti da mura di cinta, o da palizzate connesse alla quinta edificata che si ergeva con continuità a delineare il rapporto con lo spazio pubblico.
Nel nucleo di formazione medievale sono leggibili una misura e un ritmo ricorrenti dell'insediamento. Raramente si assiste a forme insediative che si discostano dai criteri di aggregazione e dai rapporti dimensionali comunemente adottati. Avviene questo soltanto per edifici con speciali funzioni, come ad esempio il duono e le sedi della amministrazione centrale laica e religiosa. Qui anche lo spazio pubblico sottolinea mediante la grande piazza queste presenze straordinarie. Al di là del centro, però, e sino ai margini delle mura la città è un tessuto omogeneo, anche se non uniforme; vi si deducono regole compositive che vanno dalla gerarchia viaria all'impianto degli isolatie ai ,oduli e criteri aggregativi delle singole unità edilizie. L'isolato indica una misura dell'insediamento che la scansione delle strade moltiplica un una successione regolata.
Si individuano nel tessuto urbano compreso entro la cinta difensiva del secolo XIV due tipi essenziali e distinti di isolati. Al loro interno anche le articolazioni spaziali, il rapporto fra spazi liberi e spazi edificati, la stessa presenza del verde, le dimensioni che assume, le funzioni e l'importanza che gli sono assegnate, acquistano caratteri peculiari.
L'isolato più propriamente medievale è quello ancor oggi maggiormente diffuso nella città storica, ed è costituito dalla aggregazione in linea di unità edilizie semplici. Se ne rileva la presenza sia nella parte a sud della via Emilia - di più antica formazione - che in quella a nord di essa, compresa entro il perimetro della cinta difensiva della fine del secolo XI. Intorno al secolo XIV vi risiedono cittadini appartenenti a diverse classi sociali, esercitanti svariate professioni e mestieri (24). L'altro tipo di isolato è caratterizzato dall'articolarsi di corpi edificati raccolti attorno ad uno o più cortili e spesso dotato di ampi spazi non edificati. Rappresenta la forma insediativa delle comunità monastiche e si inserisce nel contesto urbano medievale a partire dal secolo XIII (25), giungendo però a definire compiutamente i propri connotati formali e organizzativi soltanto nei secoli XVI-XVII.
Alcuni aspetti della strutturazione insediativa entro i confini della città di formazione medievale sono qui sotto esemplificati da disegni risalenti ai secoli XVII e XVIII. Di grande importanza per il ciclo della vita cittadina è l'acqua, che scorre in canali scoperti lungo le strade principali e in
"canalette" attraverso gli isolati stretti e allunga-
ti. Serve agli usi residenziali quale rete fognante, e a quelli produttivi per azionare le pale di mulini e filatoi e per irrigare gli orti.
Isolati da Rua Pioppa alle mura (lato est) e da S. Pietro a porta Bologna, sec. XVII (ASMo, Mappario Estense, Serie Generale, 48. Penna, mm. 240x650).
Pianta di una porzione della città di Modena (zona di Canalchiaro) 1622 (ASCMo, Raccolta mappe. Penna, mm. 104x800).
Gli spazi verdi negli isolati di formazione medievale
Fotografia aerea del centro monumentale di Modena, 1978, e area corrispondente da "Pianta di una porzione della città di Modena" del 1622.
Fotografia aerea della zona a nord della via Emilia, 1978, e particolare della stessa area nell Pianta prospettica di Modena della metà del Seicento.
Esempi di tipologie insediative di epoca medievale a Bologna (sec. XIV, area fra la seconda e la terza cerchia difensiva) e a Firenze (zona di Ampliamento fine sec. XIII). Gli spazi inedificati all'interno degli isolati sono molto più ampi rispetto a quelli di Modena.
(Da Benevolo, Storia della città, 1975).
Mentre gli insediamenti conventuali mostrano ancor oggi in più esempi i caratteri fondamentali del rapporto istituito fra spazi edificati e spazi liberi al termine della fase di formazione, l'isolato medievale, pur essendosi conservato in gran parte quanto a collocazione e conformazione del perimetro esterno, denuncia le conseguenze di interventi di successive trasformazioni. Esse, pur avendo lasciato in molti casi leggibili gli iniziali criteri aggregativi delle singole unità edilizie, ne hanno però sostanzialmente snaturato i connotati volumetrici originari, coll'aumentare il numero dei piani degli edifici e coll'estendere le costruzioni a porzioni di suolo ancora libere esistenti al loro interno. Questo processo di densificazione edilizia è in fase avanzata già agli inizi del secolo XVII, almeno per quanto attiene alla copertura degli spazi liberi all'interno degli isolati, come mostra con evidenza l'importante pianta prospettica di quell'epoca (26).
Attualmente gli unici spazi non edificati esistenti in tali isolati sono costituiti da cortili di piccole dimensioni e da stretti cavedi.
In assenza di fonti cartografiche significative risalenti ad epoche anteriori al secolo XVII, la ricostruzione del rapporto fra spazi liberi e spazi edificati nell'insediamento di più lontana formazione è possibile soltanto in termini concettuali e facendo riferimento ad atti notarili. Lo studio di queste Fonti si presenta peraltro di notevole difficoltà, essendo esse compilate ed ordinate in base a criteri cronologici e non topografici. Dovremo perciò procedere con un'analisi circoscritta in settori-campione della città, utilizzando in particolare a questo scopo le fonti richiamate in nota ad un notevole lavoro di ricerca e riordino di atti notarili svolto da E.P. Vicini su "I confini della parrocchia del Duomo nel secolo XIV" (27). Il campo dell'indagine sarà dunque quello delineato da tali confini; al suo interno emergono significativamente gli isolati allineati perpendicolarmente al lato nord della via Emilia, già compresi nello spazio cittadino di fine secolo XI, che per costanza dimensionale è di orientamento fanno pensare ad un insediamento realizzato nel rispetto di regole comuni. Consideriamo quelli compresi fra le attuali piazza Matteotti ad ovest e via Campanella ad est.
Dal materiale documentario a disposizione si ricava un dato assai importante: la presenza, anche all'interno del tessuto oggi più densamente edificato, di porzioni di terreno libere, generalmente destinate alla coltivazione ortiva. Non si tratta qui certamente di spazi tali da far pensare ad una specifica tipologia del rapporto fra costruito e libero, contrariamente a quanto si può osservare in altre città di formazione medievale. E cio per diverse ragioni. Innanzitutto a causa dello spessore particolarmente ridotto di questi isolati, che generalmente non superano in larghezza la trentina di metri e non consentono perciò di ricavare al loro interno ampi spazi inedificati. Esiste, sì, l'unità insediativa con orto retrostante; essa comprende però, necessariamente, l'intero spessore dell'isolato. Si riscontra, cioè, che un casamento composto di abitazione e spazio ortivo confina con entrambe le strade che definiscono i bordi longitudinali dell'isolato, e che dunque su una strada prospetta l'edificio, sull'altra - parallela - il muro di cinta dell'orto. Ma si tratta qui evidentemente di una eccezione, poiché solitamente gli edifici prospettano su entrambi i fronti stradali. I «vacui» e gli orti di cui gli atti di compra-vendita ci testimoniano l'esistenza nel corso del Trecento non sono frequentissimi; essi costituiscono con ogni probabilità spazi liberi in attesa d'essere edificati.
La stessa varietà di articolazione della struttura sociale e produttiva della popolazione che qui risiede e svolge la sua attivita pone in discussione l'idea di una unitarietà tipologica dell'insediamento che vada al di là del rispetto di alcune regole dimensionali comuni, dettate soprattutto dall'impiego di comuni tecniche e materiali da costruzione.
Solitamente riscontriamo in un isolato medievale la presenza contemporanea della residenza nobiliare (o di famiglie economicamente e politicamente situate ad un elevato livello della gerarchia sociale), di quella artigiana con le relative botteghe - che non si riducono necessariamente al locale prospiciente il portico al pianterreno, ma che si articolano spazialmente a seconda della dimensione dell'unità produttive e del tipo di lavorazione -, di quella mercantile; e non mancano piccole chiese o ancora edifici che ospitano religiosi da poco tempo giunti in città e in attesa di migliore sistemazione, che ivi svolgono attività assistenziali o gli uffici del culto.
Ognuno di questi gruppi e categorie ha esigenze insediative particolari, occupa usa e trasforma il terreno disponibile e le costruzioni esistenti nella maniera più confacente ai bisogni e alle possibilità che gli sono propri; istituendo, di conseguenza, un peculiare rapporto fra spazio edificato e spazio libero, assegnando via via un preciso ruolo al verde.
La frequenza stessa dei passaggi di proprietà (fra il 1332 e il 1360 registriamo dalle fonti disponibili la vendita di ventun casamenti nell'area consi-derata) è un dato che fa pensare ad una notevole instabilità delle destinazioni d'uso degli edifici, i quali sono soggetti ad una continua - sia pur lenta - attività di adeguamento a rinnovate esigenze abitative e produttive.
Anche uscendo dai confini della zona ora esaminata e gettando lo sguardo su altri isolati con simili caratteri formali e dimensionali, situati a sud della via Emilia, troviamo espresse le medesime «regole» insediative: la frequenza di uno spessore limitato degli isolati, in testa ai quali si collocano solitamente le case o i palazzi delle famiglie più cospicue della città, non consente di assegnare spazi considerevolmente ampi al verde; spazi che, nonostante l'aggregazione in linea di tipi edilizi dai moduli funzionali-dimensionali relativamente costanti, non sembrano definibili in base ad una rigida classificazione tipologica. Áncora una volta l'orto annesso ad un casamento non rappresenta la regola ma semplicemente una eventualità - ciò vale almeno per il secolo XIV.
Più che di una tipologia del rapporto fra spazi liberi e spazi edificati nell'insediamento di origine medievale - ciò che presupporrebbe una costanza formale-dimensionale ed una frequenza di esempi qui non riscontrate - pare dunque opportuno parlare di una sorta di casistica, che si esprime nell'articolarsi vario delle singole unità insediative. La terminologia impiegata nei rogiti di compravendita e di divisione di immobili presi a supporto della tesi sostenuta suggerisce l'idea di una rappresentazione concettuale di questi diversi casi.
Occorre però a tal fine fare una precisazione preliminare. Il termine «unità insediativa» non denota affatto una situazione spaziale-funzionale dai caratteri definiti e ricorrenti; quest'espressione serve più generalmente a tradurre il senso del termine sempre ricorrente nei Memoriali notarili di casa-mento. Nell'uso locale la parola casamento può significare «costruzione in genere» ma anche «terreno da costruzione» (28). L'impiego che ne viene fatto nei Memoriali notarili è di tipo estensivo, non escludendo, a seconda dei casi, né l'uno né l'altro significato e a volte comprendendoli assieme.
Sulla scorta di questa precisazione si può passare alla lettura della «casi-stica» contenuta nei Memoriali. Troviamo così menzionati semplici casamenti cum domo, cioè con abitazione, la quale è solitamente superextante, situata al di sopra del pianterreno, che è generalmente destinato ad usi di servizio.
Altre dizioni ci testimoniano l'esistenza di casamenti ortivi o vacui, e la specificazione che a volte compare, cum muris, ci fa capire che ancora nel Trecento non tutte le proprietà erano recintate da mura. Vengono infine le aggregazioni di entrambi gli elementi spaziali, quello edificato e quello libero, fra cui l'organizzazione più elementare e comune è quella costituita dalla casa con orto retrostante - cassamentum cum domo... et orto post ipsam domum — ; e quella più articolata è formata da casa, cortile ed orto - quoddam casam, cum domo... et cum quoddam cortile positum post dictam domum et cum orto posito penes dictam(29). Va però precisato che nel Trecento il numero delle unità insediative comprensive di uno spazio ortivo è di gran lunga inferiore rispetto a quello dei semplici casamenti cum domo, nei quali la presenza già più frequente del cortile può forse denotare una dimensione ed una qualità dell'edificio superiori rispetto a quelle dell'unità minima cosiddetta "artigiana".
Ordini mendicanti e trasformazioni dello spazio urbano
Chiesa e convento di S. Francesco a Modena in un quadro della seconda metà del sec. XVIII (Modena, Collezione privata, olio su tela, cm 103 x 141).
a) Gli Ordini e la città
Assai importante, per le conseguenze che ha nella configurazione della topografia urbana e per la caratterizzazione dei rapporti fra spazi liberi e spazi edificati, è la presenza degli Ordini mendicanti in città.
Come già si è in precedenza accennato, la Chiesa costituisce insieme alla nobiltà laica il centro del potere politico ed economico della città che risorge a partire dai secoli IX-X. I possedimenti ecclesiastici non riguardano soltanto il territorio, ma sono assai cospicui anche in città e nei dintorni, dove i vescovi si assicurano il controllo, fra l'altro, di larga parte dei terreni non ancora edificati che rientrano a più riprese nell'ambito cittadino in seguito ai successivi ampliamenti della cerchia difensiva. Quando le nuove comunità di frati giungono in città, acquistano per il loro insediamento case e terreni la cui proprietà il più delle volte è del Capitolo della cattedrale.
La vita cittadina è fortemente permeata dalla presenza delle comunità religiose, che ivi svolgono, oltre gli uffici del culto, funzioni civili che spesso sconfinano in quelle politiche ed amministrative. I nuovi Ordini di frati che sorgono e si diffondono a partire dal secolo XIII trovano nelle città e nelle loro immediate vicinanze le migliori condizioni di sviluppo. Di fronte alla crisi spirituale e intellettuale che colpisce i ricchi centri monastici tradizionali sparsi nel territorio, gli Ordini mendicanti rappresentano inizialmente la risposta all'altezza delle aspirazioni di vita religiosa più semplice, più a portata della folla crescente dei cittadini e degli artigiani benestanti, ma anche della gente comune che popola le città e i contadi, dove, soprattutto nell'Italia settentrionale e nel Centroeuropa, si conosce un momento di espansione economica. Ben presto però la loro affermazione coincide con la partecipazione a interessi puramente materiai e sociali, che si distaccano dagli ideali di fratellanza nella povertà assoluta inizialmente affermati quale fondamento delle comunità, divenendo avidi per ogni specie di elargizioni e donazioni, facendo registrare un abbassamento del livello morale e mostrando spesso un atteggiamento litigioso nei confronti dei cittadini e di rivalità all'interno stesso dell'edificio clericale (30).
I primi due Ordini mendicanti furono quelli dei Francescani e dei Domenicani. Molti altri ne seguirono, e fra i più importanti vanno menzionati gli Eremitani di S. Agostino e i Carmelitani. Di tutti si ha notizia a Modena già dai primissimi anni della loro istituzione. Essi vi giungono dopo aver vissuto per qualche tempo nelle vicinanze e vi si insediano occupando terreni marginali, fra il tessuto della città esistente e la cinta difensiva, dove ancora esistono spazi liberi da edificazione.
La presenza capillare e urbanisticamente strategica degli Ordini mendicanti nella città dei secoli XIII-XIV si inserisce certamente in un più ampio disegno di riorganizzazione delle strutture di controllo e gestione politica ed economica dell'organismo urbano, di fronte ad una notevole espansione produttiva e demografica. Ma gli Ordini rispondono altresì ad una necessità sociale, fornendo la «garanzia del consenso da parte delle classi più emarginate» (31) sia attraverso un'opera di persuasione «spirituale» che mediante la creazione di ospedali e di ricoveri per poveri ed ammalati e per la reclusione e la «rieducazione» dei soggetti che turbano la pace cittadina (32). L'importanza degli Ordini entro la cerchia cittadina, ma anche nei sobborghi e nel contado immediatamente circostante, appare dunque evidente, ed è forse da rivedere l'affermazione secondo la quale essi si collocano in tale contesto per la iniziale mancanza di proprietà terriera (33). L'analisi delle vicende modenesi suggerisce invece l'idea di uno stretto legame fra comunità religiose e proprietà fondiaria. La mancanza di proprietà privata è peraltro una condizione presto superata all'interno delle comunità di frati e suore, i cui appartenenti derivano di frequente dalle famiglie più ricche della città e posseggono individualmente case e terreni. Diversi sono i vantaggi derivati dall'appartenere ad un Ordine, e fra questi non va sottovalutata l'esenzione dalle tassazioni altrimenti imposte ai cittadini e agli abitanti del contado per la formazione delle finanze comunali. Il legame diretto con la società civile è infine testimoniato dal fatto che gli stessi contrasti fra le famiglie dominanti si trasferiscono a volte all'interno dei conventi, provocando scissioni fra i membri loro appartenenti (34).
b) Localizzazione degli insediamenti mendicanti: un confronto con altre situazioni urbane
Il modello insediativo "triangolare" degli ordini Domenicano, Francescano e Agostiniano esempli-ficato nelle città di Bologna e di Colmar (rielabo-razione da E. Guidoni, La città dal Medioevo al Rinascimento, Bari, 1981).
I risultati di un'analisi comparativa svolta sul territorio umbro-toscano mostrano che «quanto più la città è proiettata dinamicamente (negli anni in cui gli Ordini vi si inseriscono) verso una nuova dimensione demografica e fisica, tanto più i conventi sono localizzati in aree di espansione esterne e distanziate rispetto alle mura»; al contrario il loro inserimento nelle città «che hanno concluso o si avviano a concludere la parabola di espansione» comporta «una riconversione, una ristrutturazione... del tessuto esistente, che viene (come nel caso frequentissimo delle chiese riutilizzate o ricostruite ex novo su precedenti localizzazioni religiose) solo riusato e modernizzato» (35).
Una terza tipologia insediativa, intermedia a quelle ora considerate, è quella definita dai conventi addossati alle mura, dalla parte interna. «Si tratta di una localizzazione legata alla previsione del mantenimento dell'assetto cittadino (o di una sua parte) senza varianti, quale si trova al momento dell'impianto degli Ordini o di un determinato Ordine» (36).
Localizzazione dei principali Ordini mendicanti (Do-menicani, Francescani, Agostiniani e Carmelitani) a Modena nel sec. XIV.
Quando Domenicani e Francescani giungono a Modena e decidono, dopo aver soggiornato per qualche tempo nei sobborghi, di stabilirsi entro le mura (rispettivamente nel 1243 e nel 1244), la città si trova in una fase ormai «matura» della sua espansione, che si concluderà sostanzialmente nella prima meta del secolo XIV, per riaprirsi, soltanto parzialmente e in termini che rifletteranno condizioni politiche ed economiche assai diverse, a due secoli di distanza.
Le aree scelte per l'insediamento sono ai margini interni della cerchia difensiva (detta allora «fascinata») e diametralmente opposte, accanto alle due porte che aprono la città: l'una a nord, verso la pianura, dove si stende il corso del canale Naviglio (37), l'altra a sud, in direzione dell'Appennino.
Ancora un anno dopo, nel 1245, si registra la venuta degli Eremitani, che assumeranno la regola di S. Agostino. La loro chiesa e il convento con l'annesso orto si collocano però extra civitatem Mutinae, fra le porte Cittano-va e Ganaceto, quasi addossati alla fossa difensiva (38). La scelta di un luogo posto all'esterno della citta, ma nelle sue immediate adiacenze, può forse indicare l'esistenza di sobborghi ricchi di popolazione e di attivita (39); ma puo anche denunciare una iniziale difficoltà ad inserirsi entro le mura, per 1l formarsi contemporaneo di molti Ordini che aspirano all'occupazione delle aree ancora libere esistenti ai loro margini interni e soprattutto nei pressi delle porte principali. E proprio ad una ventina d'anni di distanza, nel 1266, si ha notizia della esistenza di un convento di frati Apostolini che si colloca esattamente nell'area attualmente occupata dalla chiesa di S. Agostino, cioè accanto a porta Cittanova; anche essi assumeranno la regola di S. Agostino
(1273) «per distinguersi dalle molte congregazioni di Apostolini» (40).
Nel 1292 l'unione di questi frati agli Eremitani determina la decadenza del vecchio convento posto all'esterno della città, fra le porte Cittanova e Ganaceto e denota dunque la preferenza della posizione interna (41).
Si rileva quindi a Modena la tendenza, da parte degli Ordini principali, ad un insediamento che per localizzazione non si rivolge a gestire nuove eventuali aree di espansione ma a «controllare - vale anche per Modena l'esempio della città centro-europea di Colmar, in Alsazia, riportato da Guidoni (42) — dall'interno del nucleo centrale, le principali vie di accesso e l'area già abitata nella prima metà del Duecento». Ma a Modena, a differenza che in tante altre città dell'Italia centrale (oltre che, ma in misura minore, settentrionale e del Centroeuropa), non si realizza il «modello triangolare» insediativo degli Ordini domenicani, francescani e agostiniani, che ha per baricentro il centro cittadino (la piazza, il palazzo comunale o la cattedra-le) (43). Qui la zona centrale, che assomma intorno a Piazza Grande il Palazzo comunale - centro politico-amministrativo della città - ed il Duomo con la vicina sede vescovile, costituisce il perno di un sistema urbano organizzato secondo due direttrici principali intersecantesi ortogonalmente e risultanti dal tracciamento delle linee di congiunzione delle porte di Albareto e S. Francesco in direzione nord-sud e di Saliceta e Cittanova in direzione est-ovest.
Il quarto polo di questo sistema, situato ad est accanto a porta Bologna (o Saliceta) sarà occupato dai Carmelitani a partire dal 1319. Al loro insediamento si oppone inizialmente la chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista, direttamente dipendente dal monastero di S. Pietro, che, gia definita «infra civitatem» in un documento del 1149 (44), detiene il controllo di questa zona da almeno due secoli. La questione è risolta con sentenza del Vescovo. che consente l'apertura di quello che allora è semplicemente un oratorio, a patto che i frati paghino un tributo al parroco (45).
c) Caratteri insediativi
Complesso conventuale di San Francesco.
Planimetria catastale attuale, particolare da Pianta della città di Modena del 1622 e fotografia aerea.
Ex complesso conventuale di San Domenico.
Planimetria catastale attuale, particolare da Pianta prospettica di Modena del sec. XVII e fotografia aerea.
Ex complesso conventuale del Carmine.
Sopra: Planimetria catastale attuale, particolare da Pianta prospettica di Modena del sec. XVII e foto-grafia aerea.
Sotto: "Pianta generale del pian terreno dell'Eco-nomato militare Estense detto del Carmine", 1836 (ASMo, Mappario Estense, Genio Militare, Fabbriche, Cartella C 46, carta senza numero. Penna e acquerelli policromi, mm. 820 x 450) e fotografie attuali dei due chiostri.
Convento di S. Pietro (inizio sec. XVI)
La fotografia zenitale mostra la localizzazione del convento al margine sud-est del centro medievale.
Sotto: "Pianta del Monastero per il corso dello spurgo", P. Ludovico Martinego, 1766 (ASMo, Mappario Estense, Serie Generale, n. 74, a penna e acquerelli policromi, cm 59 x 84); fotografia aerea, 1978; particolare da Pianta prospettica di Modena del sec. XVII e fotografia del chiostro detto "delle colonne".
Nella prima metà del Trecento, in coincidenza col momento di definizione della fase espansiva della città, gli insediamenti dei principali Ordini mendicanti sono dunque già stabilmente situati nei punti di maggiore importanza per il controllo delle vie di accesso e per l'esercizio dell'influenza diretta sulla città secondo una regolare ripartizione localizzativa. Essi vanno ad aggiungersi alle istituzioni ecclesiastiche già da tempo presenti ed operanti Il citta, in una fase che richiede nuove strutture in grado di gestirne e di ordinarne lo sviluppo, sia in termini sociali che urbanistici.
I modi specifici dell'insediamento esprimono in pari tempo le esigenze organizzative della vita interna delle comunità ed il rapporto che esse istituiscono con la città, giungendo a ridefinire, o a definire ex novo, i connotati dell'ambiente urbano nelle aree interessate. Trattandosi, relativamente alla localizzazione dei conventi ora considerati, di zone situate ai margini interni della «fascinata» che circonda la città, le preesistenze sono costituite in parte da terreni liberi da edificazione (46), oppure occupati da edifici dotati di appezzamenti ortivi. La proprieta è spesso del Capitolo della cattedrale: sono i casi delle aree scelte dai Domenicani e dai Francescani (sul terreno occupato dagli Agostiniani avanza invece pretese di proprietà il monastero di S. Eufe-
mia; mentre per i Carmelitani si ha la notizia che l'edificio adibito inizialmente ad oratorio fu acquisto fatto da un privato) (47).
Gli insediamenti sono inizialmente assai semplici e di modeste dimensioni, ma già si caratterizzano per la chiara articolazione funzionale. Chiesa e sagrato istituiscono un immediato rapporto con la città. Nella chiesa non si svolgono soltanto le funzioni del culto: essa è altresi luogo di sepoltura per i cittadini appartenenti alle famiglie più ricche, le quali spendono per acquistare e far costruire tombe e altari. Il sagrato è spazio pubblico che si apre sul fronte principale (a volte si sviluppa anche lungo un fianco) della chiesa; è una piccola piazza sulla quale si raccolgono i fedeli, quasi una proiezione all'esterno del chiostro del convento (48); ma svolge anche funzione di cimi-tero, per la sepoltura degli altri cittadini, soprattutto di quelli appartenenti alle classi meno abbienti.
Il convento, che è inizialmente un edificio semplice e limitato al solo pianterreno - tanto che poco si discosta da capannoni o granai —, è corpo in diretta comunicazione con la chiesa, all'altezza del presbiterio; si affianca spesso ad un fronte stradale per ricavare all'interno dell'isolato uno spazio ampio da destinare all'orto - recintato, quest'ultimo, da alte mura.
Nel loro complesso, chiesa, convento ed orto costituiscono un aggregato insediativo rigorosamente delimitato da facciate di edifici e muri di cinta rispetto allo spazio pubblico, col quale però istituiscono in pari tempo un rapporto privilegiato, grazie appunto alla dilatazione della strada in coincidenza del fronte della chiesa. All'interno il rapporto fra spazi liberi e spazi edificati, pur non essendo mai stabile nella fase di costruzione ed ampliamento del convento (fase in genere assai lunga, che si può dire conclusa nella maggio parte dei casi soltanto nel corso dei secoli XVII-XVIII), si delinea però chiaramente per la precisa funzione che sin dall'inizio viene ad entrambi assegnata.
Si formano così veri e propri isolati con peculiari caratteri formali e dimensionali, che si distinguono nettamente da quelli del tessuto della «città laica». Le maggiori dimensioni e lo spessore più ampio di questi isolati denotano criteri insediativi rispondenti alle esigenze specifiche della vita monastica, sia pure con le limitazioni e gli adattamenti dovuti all'innesto di questi organismi nel tessuto in formazione della città.
Emerge con grande evidenza il diverso rapporto che in essi si stabilisce fra spazi liberi e spazi edificati rispetto a quello precedentemente considerato negli isolati definiti medievali. Nonostante le innumerevoli relazioni che pongono in contatto le comunità di frati con la società civile, l'esigenza di salvaguardare un regime di vita quotidiana regolarmente scandito da funzioni e compiti gerarchicamente ripartiti fra i membri ad esse appartenenti, richiede la creazione di un ambiente fisico adeguato, ben delimitato dal contesto urbano circostante e caratterizzato anche planimetricamente secondo un preciso ordine formale. Fra gli elementi di questo ambiente, lo spazio libero, destinato alla coltivazione ortiva, al giardinaggio, alla meditazione e alla preghiera, non rappresenta certo quello di minore importanza, e mentre assolve a funzioni pratiche e spirituali esprime in pari tempo un rapporto del tutto peculiare fra uomo e natura entro i confini della città.
Definitasi in questi termini la presenza in città dei principali Ordini mendicanti nel corso dei secoli XIII-XIV, non cessa in seguito la formazione di nuove comunità religiose, sia maschili che femminili. Il «percorso» insediativo è spesso identico: dall'iniziale collocazione nei dintorni o nei sobborghi della città, esse tendono a ricercare la possibilità di inurbarsi - ciò che si attua con difficoltà sempre crescenti, essendo la città un nucleo ormai serrato e al proprio interno densamente popolato.
L'inserimento non può che compiersi, ora, nei termini di sostituzioni e trasformazioni del tessuto esistente, dove le piccole chiese che passano in possesso degli Ordini sono ancora funzionalmente e dimensionalmente correlate al contesto edilizio circostante. Tale processo si realizza nel corso dei secoli XIV-XVI. È il caso, per citare alcuni esempi, dei frati Serviti (1383), delle suore di S. Chiara (1414), di quelle di S. Agostino (1448), dei frati della delle suore di S. Chiara (1414), di quelle di S. Agostino (1448), dei frati della Trinità (1530).
Gli isolati stretti e allungati della città medievale vengono qui progressi-vamente riuniti a formare aggregati insediativi di più ampie dimensioni, a-traverso un processo di acquisizione per parti di unità edilizie che, se il più delle volte si realizza in tempi assai diluiti, lascia però intendere sin dall'inizio il disegno finale perseguito. Il risultato complessivo è quello di una ridefinizione dei confini di un buon numero di isolati della parte di cittá che si stende a sud della via Emilia, all'interno dei quali ampi appezzamenti di terreno inedificato vengono riservati alla coltivazione ortiva (49).
Trasformazione di una parte del tessuto urbano di Modena medievale in seguito all'inserimento dei complessi conventuali di S. Geminano (1448), S. Paolo (1491) e Corpus Domini (1530).
Ricostruzione schematica del reticolo viario risalente al sec. XIV nella zona interessata dai successivi inserimenti conventuali.
Planimetria dei tre complessi conventuali agli inizi del sec. XIX (Rielaborazione di rilievi eseguiti da G. Puttini nel 1809, conservati in ASMo, Mappe in volume, vol. IX) e individuazione dell'isolato sulla pianta catastale attuale.
MODENA MODERNA E CAPITALE (SECOLI XVI-XVIII)
Ridefinizione dell'immagine urbana e rapporto città-campagna fra Cinque e
Seicento
G.B. Boccabadati, "Pianta del Distretto di Modena con le Strade, Fiumi, Scoli ed altre cose notabili", 1687 (dall'atlante Piante del distretto di Modena, 1687, conservato in ASCMo, Raccolta mappe, Penna, mm. 920x1540).
Nel periodo che va dalla prima metà del secolo XVI alla prima metà del XVII Modena è interessata da una serie di interventi urbanistico-edilizi di consi-derevole portata. Mentre si provvede ad «attrezzare» modernamente la città in funzione difensiva, dotandola di mura di cinta e di strutture in grado di far fronte alle nuove tecniche offensive, si coglie l'occasione per ampliarne i confini, includendo una nuova porzione di terreno.
L'operazione, pur non ponendosi certamente all'altezza di quella analoga e precedente che interessò Ferrara nello scorcio del secolo XV(50) è comunque tale da rimodellare l'immagine d'insieme della città, introducendovi contempo-raneamente quei nuovi criteri insediativi che stanno alla base della pianifica-zione urbanistica moderna.
Se da un lato la sperimentazione concreta e l'elaborazione teorica che presie-dono a questo intervento sono già contenute e messe a punto da esperienze precedenti, e consentono quindi il riferimento ad una cultura che corrisponde alle condizioni di sviluppo economico e civile dei poli più avanzati della società rinascimentale; dall'altro lato la situazione di Modena nella prima metà del Cinquecento è tale da ridimensionare necessariamente la portata di qualsiasi volontà di intervento globale sulla città, e l'istituire un confronto con altre esperienze, astraendo dalle condizioni peculiari - soprattutto economiche -
della futura capitale di un ducato ridotto nelle dimensioni e nell'importanza, sa-rebbe oltre un certo limite fuorviante.
A tale riguardo acquista particolare significato la considerazione del rapporto fra città e campagna durante i secoli XVI-XVII, definito in termini spaziali dal centro urbano e dal suo distretto. Questo rapporto delimita oggettivamente le possibilità di sviluppo della città, in quanto l' economia si basa ancora su una produzione agricola insufficiente a soddisfare i bisogni alimentari dell'intera popolazione. In un'epoca di rigido protezionismo, dove si produce essenzial-mente per l'autoconsumo, tutto o quasi dipende dalla ricchezza e vastità dei territori soggetti al diretto controllo della città. Nel caso di Modena, alle difficoltà di ordine politico, che impediscono di fatto un controllo del governo centrale sull'intero territorio del ducato (51), si assommano quelle dovute alla scarsa fertilità del terreno, di natura argillosa, più adatto alla viticoltura che alla cerealicoltura e soggetto periodicamente alle inondazioni dei fiumi Secchia e Panaro (52). Alla mancanza di grani si sopperisce, soprattutto a partire dalla metà del Cinquecento, coll'«andar a trovare formento in lontano paexo» (53).
G:B: Boccabadati, "Pianta de Borghi della città di Modena", 1687.
Gli stessi dati sull'andamento demografico testimoniano di una società che si regge sull'equilibrio assai precario fra «bocche da sfamare» e produzione ed importazione di cereali, per cui «la tendenza all'aumento che si verifica nei periodi di relativo benessere economico e di tranquillità bellica (1560-1590) sembra, nel complesso, essere bilanciata dall'opposta tendenza, che si manifesta, più o meno decisamente, nei ricorrenti periodi di crisi» (54).
In questo contesto, riassunto qui necessariamente per sommi capi, si procede alla realizzazione delle opere di fortificazione ed ampliamento della città: ad operazione conclusa il «peso», sia in termini dimensionali che funzionali, della nuova «aggiunta» risulterà del tutto marginale rispetto alla città preesistente. Se si eccettua la darsena, punto terminale del porto di Modena, le cui attrezzature si organizzano peraltro soprattutto all'esterno della cinta murata, le funzioni largamente predominanti sono quelle residenziale e conventuale. Mentre sempre più chiaramente questa zona tenderà a delinearsi come una sorta di appendice, sia urbanistico-edilizia che sociale, del palazzo ducale e della corte che vi risiede; nel vecchio nucleo di formazione medievale continueranno a concentrarsi le principali funzioni amministrative e commerciali della città.
Gli spazi verdi e la nuova dimensione insediativa negli isolati dell'amplia-mento
La zona di addizione cinquecentesca in un particolare della Pianta prospettica della città di Mo-dena, metà del sec. XVII (cfr. ill. 10) e in una fotografia zenitale attuale.
"Planimetria della cinta murata della città di Modena, anteriore all'addizione Erculea, e della sua cinta bastionata costruita all'epoca di questo amplia-mento" (da G. Bertuzzi, 1982, p. 126).
Nel 1535, quando Ercole Il d'Este decide di fortificare Modena, e ancora sono incerti i termini dell'ampliamento, la popolazione inurbata è assai numerosa e per molte ragioni concomitanti si determina una pressione degli abitanti dei borghi e del distretto sulla città. Ciò avviene da un lato per le difficili condizioni di vita del contado, dove i frequenti straripamenti dei fiumi provocano allagamenti i cui danni alle colture si assommano a quelli provocati dagli eserciti stranieri, accampati o di passaggio, che saccheggiano e devastano — la città è luogo più protetto, dove le possibilità di trovare assistenza anche in tempi di carestia sono maggiori -; dall'altro lato a causa dell'atterramento dei sobborghi imposto in nome di esigenze difensive, che arreca ulteriori disagi ai residenti e spinge chi può a ricercare una nuova sistemazione entro le mura cittadine (55).
I prezzi salgono in città ed uno dei luoghi privilegiati della speculazione è costituito dai terreni inedificati ancora esistenti ai margini delle mura (56).
Mentre la maggior parte dei cittadini guarda all'opera di fortificazione con spirito critico e prende atto con delusione delle limitate dimensioni degli ampliamenti (57), resta assai soddisfatto chi vede inclusi i propri terreni entro i nuovi limiti della città (58). Volontà della classe dominante è che le costruzioni in «Terra Nuova» «habbiano piuttosto del civile et honorevole che altrimente» (59).
"Disegno di una parte della città di Modena, cioè dal Canal Navilio, fino alli PP. Cappuccini, e dalli PP. alle Monache della beata Vergine» (ASMo, Mappario Estense, Serie Generale,
108. Penna, mm. 560x420).
Progetto di casa con giardino retrostante, nella zona di ampliamento, sec. XVI, (ASCMo, Atti della Comunità, anno 1578, fasc. di carte senza date, Case in Terranuova).
Nella realizzazione del progetto di urbanizzazione, eseguito dall'architetto Antonio Guarino, commissario ducale alle fabbriche, strade ampie e rettilinee si contrappongono a quelle strette e tortuose del reticolo medievale, incrociandosi ortogonalmente a delimitare isolati di forma regolare e di notevole grandezza. Alla visione prospettica dello spazio urbano devono concorrere, sottostando ad una comune volontà che detta norme e dimensioni, i singoli edifici che si allineano lungo i fronti stradali (60). Ad essa fanno riscontro, sul versante interno degli isolati, spazi verdi e liberi di ampio respiro.
Si realizza qui una nuova «dimensione» dell'insediamento, che nel rapporto istituito fra spazi edificati e spazi liberi, assegnando a questi ultimi un'ampiezza ed un'importanza considerevoli, costituisce una risposta coerente al problema della densità edilizia già chiaramente rilevabile nel contesto di formazione medievale, mantenendo in pari tempo il valore della continuità dell'edificato rispetto al fronte stradale, pur rinunciando a quello della «permeabilità» del tessuto e della sua «disposizione» ad offrire quegli spazi protetti ed insieme aperti costituiti dai percorsi porticati.
L'ulteriore confronto con la città medievale porta a riconoscere già all'interno di questa le forme insediative che preludono agli sviluppi quat-tro-cinquecenteschi della «teoria moderna e „laica" della città progettata» (61); quelle scaturite dalle esperienze di inserimento nell'ambito urbano da parte degli Ordini mendicanti a partire dal XIII secolo.
L'opera di ampliazione, per le dimensioni limitate che la contraddistin-guono, pare avere come scopo non secondario quello di ridefinire la posizione del castello rispetto alla città e rispetto alle mura: un'operazione da leg-gersi più propriamente entro il contesto delle ragioni difensive che presiedono alla fortificazione della città, anche se in essa si legge contemporaneamente l'esigenza di «completare» l'area di pertinenza del castello con l'appendice verde del giardino. Quest'ultimo riceverà forma definitiva dopo l'arrivo della corte Estense, quando, regnante Francesco I, verrà avviata la trasformazione del Castello in Palazzo (progettata dall'architetto romano Avanzini), nel quadro più ampio di una riqualificazione estetica dagli intenti celebrativi della presenza del sovrano in città.
L'immagine nuova di Modena fortificata ed ampliata si avrà nella sua forma più compiuta nel 1635, quando, con la costruzione della cittadella, saranno ulteriormente rimodellati i confini a nord-ovest con la campagna. Con ciò si fisseranno le dimensioni che la città manterrà inalterate sino al termine del secolo XIX, quando il confine ben delimitato con la campagna circostante si romperà di fronte alla crescita della «città emergente».
Fra Sei e Settecento: dalla città-fortezza alla città capitale
Palazzo Foresto in Corso Canalgrande:
Planimetria catastale dell'edificio nel contesto urba-no e "Mappa de Mezzani attorno al primo cortile, e de Piani Terreni del secondo Cortile" e facciata prin-cipale (su Canalgrande) di Palazzo Foresto (ASMo, Mappe in Volume, vol. 9. Penna e acquerello, tavole di mm. 700x470)
Palazzo situato al margine nord della città di formazione medievale, al n° civico 5 di Piazzale S. Domenico. Localizzazione sulla pianta catastale attuale. Foto a destra: androne e viste sul piccolo giardino interno.
L'attività edilizia fra Sei e Settecento si inscrive entro la cornice degli interventi di fortificazione e ridefinizione del perimetro cittadino e pare ispirarsi, nel complesso, ad un «disegno» - mai tracciato nel suo insieme ma costantemente perseguito nei singoli interventi - di «riqualificazione» sia funzionale che estetica della città, in ragione del nuovo ruolo da essa assunto di capitale del ducato Estense.
Al tentativo di negare il volto della città medievale nei suoi tratti meno
«rappresentativi», mediante l'atterramento di portici e la sostituzione di interi isolati con un'edilizia più rispondente ad esigenze di «decoro» - ma anche di valorizzazione in termini speculativi del suolo urbano - corrisponde sul piano economico e dei rapporti di produzione la crisi delle attività artigianali e manifatturiere ed il processo di ripiegamento dell'intera società sulle basi della proprietà fondiaria (62).
Al notevole sviluppo dell'edilizia civile e militare fra Cinque e Seicento si affianca, proseguendo per tutto il secolo XVII e gran parte del XVIII, quello dell'edilizia religiosa, che nuovo impulso ha ricevuto dal più generale programma rinnovatore delle istituzioni ecclesiastiche scaturito dalla Controriforma. Fra gli obiettivi che essa persegue, quelli della ricostituzione della proprietà ecclesiastica e della riconquista di un ruolo centrale in campo culturale si realizzano in stretta sintonia col processo di centralizzazione del potere ducale e di formazione di un «contorno» nobiliare più disponibile ad accettare il ruolo egemone del sovrano (63).
Mentre «nel corso del Seicento verranno costruite o completamente trasformate quasi tutte le chiese» (64), di non minore entità risulterà l'opera di ampliamento, ricostruzione e nuova fondazione di conventi, compiendosi quel processo di lenta e costante trasformazione di ampie porzioni del tessuto di Modena medievale avviatosi agli inizi del secolo XIII con l'arrivo dei primi Ordini mendicanti (65).
Sul versante «laico» gli interventi di rinnovamento o sostituzione di unità residenziali che si realizzano nel periodo considerato non producono trasformazioni altrettanto rilevanti nella configurazione dei rapporti spaziali entro i confini della città di formazione medievale. La planimetria del palazzo conserva i suoi connotati organizzativi: al pianterreno si accede attraverso l'androne nel cortile, che solitamente è lastricato e sul quale si affacciano le rimesse ed i locali di servizio. La presenza, a volte, di un secondo cortile, successivo al primo, non sempre coincide con una destinazione a giardino: al più un'aiuola centrale, visibile anche attraverso il portone d'ingresso dalla strada, corona decorativamente l'immagine interna del palazzo.
Nel complesso l'attività di edilizia residenziale più cospicua entro i confini della città vecchia pare risolversi in interventi atti al riuso ed alla riqualificazione - nemmeno con eclatanti intenti rappresentativi - dell'ambiente urbano esistente; dove, a datare dalla venuta della corte Estense, acquista nuovo interesse e significato risiedere (66).
Diversamente caratterizzata è la presenza della nobiltà e dei ceti abbienti nella zona di nuovo ampliamento, dove diversi esempi insediativi testimoniano di un avvenuto mutamento nel rapporto fra individui e natura entro i confini della sfera privata, attraverso la realizzazione di unità residenziali in cui l'elemento «naturale», in quanto spazio dimensionalmente considerevole e formalmente compiuto, appare come necessario completamento dello spazio edificato, per la soddisfazione di esigenze che ormai rientrano nei costumi di vita del cittadino che vive all'ombra della corte ducale.
Si afferma contemporaneamente il tipo della casa con orto o giardino, come forma abbastanza ricorrente di sistemazione dei ritagli di terreno libero che l'opera di fortificazione, soprattutto lungo il versante ad ovest, ha incluso entro il perimetro della vecchia città; o come criterio insediativo più diffuso negli isolati della zona di ampliamento.
Trasformazioni spaziali e contraddizioni sociali nella città della seconda meta del Settecento
Accanto alle vicende che in campo politico segnano l'avvio della crisi di antichi equilibri ed alleanze e sullo sfondo di condizioni sociali contraddittorie e per certi versi drammatiche, si sviluppa nel corso della seconda metà del Settecento un'intensa attività edilizia e di trasformazione dell'ambiente urbano. All'iniziativa privata si associa, in diversi casi con funzioni di coordinamento, quella ducale. Per questa ragione si è voluto rileggere - a volte celebrare - il risultato di queste operazioni come il tentativo, in parte riuscito, di «una radicale revisione dell'intero piano urbanistico» (67).
Al di là degli aspetti più appariscenti, al di là degli intenti più o meno volutamente «rappresentativi» o «strategici» della politica urbanistica ducale, gli avvenimenti edilizi che si sono succeduti con una certa continuità nel periodo considerato rivestono un interesse notevole per il riflesso che hanno sul piano sociale, oltre che su quello delle trasformazioni del tessuto urbano preesistente. Entro una cornice politica internazionale che assicura condizioni di pace stabile (68), la «revisione» della città e le tendenze insediative in atto corrispondono agli sviluppi contraddittori della società di Antico Regime nella fase del cosiddetto «assolu-tismo illuminato».
Se nel corso del Seicento e nei primi decenni del Settecento avevano prevalso su tutte le iniziative edilizie dei religiosi - che riflettevano immediatamente il perfetto inserimento delle istituzioni ecclesiastiche entro il sistema di potere ducale -; durante i decenni successivi, sino all'avvento della Rivoluzione francese, il «risveglio» dell'attività privata entro la cornice degli interventi e delle direttive ducali denota la volontà da parte della nobiltà laica — vecchia e nuova - di riconquistare una posizione di primo piano anche nell'ambito cittadino.
Tutto ciò non si determina al di fuori di contrasti, i quali in definitiva producono la crisi del blocco di potere che aveva contraddistinto l'epoca della Controriforma, incrinando la solidarietà fra trono, nobiltà e clero. All'interno delle «élites dirigenziali» si verifica uno scontro, che si esprime essenzialmente nell'attacco «all'espandersi della proprietà e delle immunità e prerogative ecclesiastiche» (69). Il clero diviene il bersaglio principale nella politica dell'«età delle riforme».
Mentre si procede alla soppressione dei conventi e all'incameramento dei beni conventuali nei casi il cui numero dei religiosi non raggiunge quello minimo già fissato dal Concilio di Trento, l'opera di «laicizzazione» della città conduce alla creazione di nuove istituzioni, in parte per sostituire i servizi in precedenza resi dalle comunità religiose ed in parte per dotare la città di quelle strutture che ne adeguino il volto e le funzioni a quelli di una capitale „illuminata“.
Ma l'insieme di queste operazioni e quella parallela di riqualificazione della presenza nobiliare e borghese in città, attuate nel quadro delle direttive ducali per l'«onorevole ornamento» della scena pubblica, comportano l'abbattimento e la sostituzione di numerosi edifici, a volte di interi isolati. Dietro il dispregio che si colora di moralismo per i «pessimi abituri bassi, poco ventilati con scarsa luce», dove «gli inquilini... andavano soggetti a delle malattie» (70), si cela l'intento ben poco umanitario di espellere il proletariato urbano per far posto ad interventi socialmente ed economicamente più vantaggiosi.
In una relazione allegata ad un progetto per la costruzione di case operaie nei terreni ancora inedificati dell'ampliamento, inviata dal commissario Cremonini al duca Francesco III (71), sono messe in evidenza le conseguenze meno «rappresentative» causate dalla politica di sostituzione edilizia e sociale di quegli anni. Le condizioni abitative delle classi più povere sono estremamente precarie. Evidentemente non è sufficiente la costruzione di «universi concentrazionari» (72) come il Grande Albergo dei poveri per dare una risposta alle contraddizioni più evidenti. I termini del problema sono così chiaramente esposti: «Per dare alla città di Modena quell'illustre ornamento, a cui è salita mediante le cure gloriose del nostro benefico Sovrano, molte case sono state distrutte, che inservivano un tempo di ricovero agli Operai, e alla plebe (...). Alla demolizione di dette case sonsi eretti degli utili fabbricati ora inservienti al commodo de' Cittadini, non che al bene universale della citta, e dello Stato, ma sono frattanto rimasti i poveri, e gli artigiani privi d'abitazioni corrispondenti al loro numero, e alla loro indigenza». Alle demolizioni di «casette» e di isolati per allargare uno spazio pubblico coronato da interventi residenziali qualificati, si aggiungono quelle per l'erezione di nuovi edifici pubblici: gli Ospedali, l'Albergo dei poveri, l'Università, la nuova Dogana, il «grande Auberge», ed altre «somiglianti utilissime istituzioni" (73).
La stessa iniziativa diretta dal Comune, finalizzata alla sostituzione di due isolati costituiti da case pericolanti ed in pessime condizioni igienico-sanitarie situate nelle contrade S. Croce e S. Maria Maddalena (oggi denominate via Card. Morone e via N. Sauro), con un solo isolato di dimensioni più ampie e con appartamenti di tipo popolare (detto de' Guasti), procede a stento fra interruzioni e remore: la sua realizzazione, lungi dall'alleviare il problema abitativo degli ex residenti, lo aggraverà drasticamente, comportando il loro allontanamento per la sostituzione ad essi di sei famiglie in grado di pagare «l'annuo canone di circa L. 8000». Il bilancio finale è il seguente: «Il Parco da P.ta Castello, e le Caselle una volta ad uso della Guardia al Corpo generosamente cedute da S. A.zza alla città sono l'unico compenso di tante distruzioni. Qui solamente, e nel chiostro de' Conventuali soppressi trovano ora un asilo i poveri, e gli Operai" (74).
Da un punto di vista più strettamente rivolto alla lettura degli aspetti ur-banistico-edilizi, l'insieme delle operazioni di sostituzione edilizia e di modificazione morfologica, pur non comportando rilevantissimi cambiamenti nella strutturazione della città, mentre conduce a sensibili variazioni nella composizione sociale e nella collocazione della popolazione residente, introduce nuovi criteri di intervento nel contesto urbano di formazione medievale, con la ricerca di una unità estetica di più ampio respiro e la creazione di spazi rispondenti per dimensioni e decoro alle funzioni rappresentative assegnate alla scena pubblica.
Emerge con chiarezza la volontà di sostituire alle articolazioni spaziali medievali - dimensionalmente e formalmente legate a criteri di funzionalità pratica, attuati nel rispetto delle preesistenze naturali - uno spazio urbano progettato, la cui realizzazione rappresenti la concretizzazione di una idea, che trova nella prospettiva il veicolo della sperimentazione teorica. In essa la natura, quando appare, ha una semplice funzione decorativa.
Sotto il profilo tipologico la creazione di nuovi schemi compositivi appare come risultato di un'opera di sperimentazione condotta mediante l'uso dei «materiali» già esistenti. Nell'isolato dei «Guasti», quale esempio di insediamento residenziale «minore», si assume sostanzialmente come dato di partenza la ristrettezza del campo d'azione e la necessità - probabilmente dettata anche da ragioni di valorizzazione del suolo - di ricavare dallo spazio disponibile quanta più capacità abitativa è possibile. I grandi «contenitori», quali esempi di un edilizia destinata ad accogliere nuove funzioni pubbliche, recuperano dalle forme insediative dei complessi conventuali l'impianto planimetrico basato sullo sviluppo di corpi di fabbrica attorno ad un cortile interno, complicandone le combinazioni compositive attraverso la moltiplicazione degli elementi base.
In definitiva, il complesso degli interventi edilizi che caratterizzano la seconda metà del Settecento, al di là dei risvolti sociali che lo contraddi-stinguono, pare rivolto ad assecondare l'intento di rimodellare lo spazio pubblico quale scenario rappresentativo e celebrativo della figura del sovrano e del suo seguito in conseguenza dei mutamenti intervenuti all'interno del blocco di potere dominante, e mentre lascia sostanzialmente integra la strutturazione della città, vi introduce elementi di sensibile trasformazione dei rapporti spaziali, sia ad ampia scala (piazze, strade e loro prospettive) che a quella più ridotta di isolato.
Agli spazi verdi, se pure viene assegnata un'importanza considerevole soprattut-to negli insediamenti della zona di ampliamento, è riservato un uso che si risolve entro una sfera strettamente privata, essendo essi compresi in unità residenziali che ne delimitano rigorosamente il confine con lo spazio pubblico. Mentre il giar-dino ducale diviene «pubblico» (ma in realtà apre i cancelli alla sola nobiltà) l'unico spazio verde effettivamente offerto alla frui-zone della intera città è costituito dal «passeggio delle mura», realizzato alla fine del Settecento mediante la trasformazione e l'attrezzamento in funzione ricreativa e contemplativa delle vecchie strutture difensive.
Considerazioni sull'evoluzione del concetto di verde nella città storica
Dall'analisi sin qui condotta e da uno sguardo agli sviluppi che seguiranno si possono ricavare alcune considerazioni su di una tematica in più momenti affiorata, ma non ancora specificamente affrontata: quella del concetto di verde o, meglio, dei concetti di verde nella città storica. Le brevi note che seguono vogliono avere un carattere di primo approccio, fornendo una prima, certamente elementare, sintesi orientativa che considera a grandi linee le tendenze fondamentali dell'evoluzione del concetto di verde in relazione alle funzioni via via assegnate agli spazi «naturali» entro lo spazio della città storica.
Da una fase iniziale caratterizzata dal prevalere delle funzioni immediatamente agricole, in cui la città appare più come una sorta di villaggio rurale, si rileva il passaggio ad una fase - assai lunga - in cui essa acquista e sempre più perfeziona un ruolo di controllo e coordinamento delle attività del territorio di propria competenza. Conseguentemente a ciò la città si specializza per tutta una serie di funzioni che comprendono la raccolta, la distribuzione ed in parte la lavorazione dei prodotti provenienti dalla campagna. Qui siamo ancora in una situazione di legame diretto e in certo senso esclusivo con la campagna: ciò vale almeno per Modena, che non si caratterizza mai, dalle origini sino ad uno stadio avanzato dell'età contemporanea, come città eminentemente commerciale o industriale. Le funzioni prevalenti sono dunque ancora direttamente legate all'agricoltura.
Il passaggio successivo è dato dalla fase in cui il commercio e la produzione delle merci acquistano per una parte sempre maggiore carattere separato dal ciclo di lavorazione e distribuzione dei prodotti agricoli. Quest'ultimo processo evolutivo non segue una linea retta e continua, ma incontra lungo il suo percorso interruzioni, difficoltà che producono fratture, a volte arretramenti. A Modena, come in molte altre città, esso potrà dirsi avviato a conclusione soltanto verso la fine del XIX secolo (75).
Qui il carattere di centro rurale si mescola per lungo tempo con quello di centro urbano. Non vuol dire questo che la città appaia come un insediamento che alterna agli spazi edificati ampie zone di terreno destinate alla coltivazione. Le terre coltivate in funzione del consumo alimentare e del mercato stanno nella fascia circostante le mura cittadine, fascia le cui dimensioni tendono sin dagli inizi progressivamente ad aumentare, parallelamente all'accrescersi di importanza della città e al contemporaneo dissolversi del sistema politico ed economico feudale. In un certo senso, quello che si configura come una sorta di «anello agricolo» direttamente soggetto ai bisogni alimentari del centro urbano potrebbe essere definito come il dominico della città.
D'altra parte il suolo libero da edificazione, che pure Modena mostra di avere anche nel suo nucleo di formazione medievale, è suolo coltivato, è oggetto di cure e protezione. Gli Statuti del 1327 mostrano ad esempio tutta l' importanza assegnata al verde coltivato anche entro la città con l'indirizzare norme alla coltivazione di certe piante da frutto e alla difesa di questi spazi mediante l'istituzione di un servizio di guardia (76). Si pensi infatti alla difficoltà di approvigionamento dei prodotti della campagna in epoche di assedi militari, ma ancor più alla funzione medicinale di certi frutti ed erbe, cui veniva accredito un valore curativo (che sicuramente non sempre possedevano, quando ad esempio venivano impiegati per combattere la peste, di cui non si conoscevano l'origine e le cause di trasmissione) (77).
Il fatto infine che sempre entro le mura venissero allevati animali che fornivano latte e carne per i consumi alimentari dei cittadini (78) contribuisce certo a completare il quadro di un villaggio semirurale, ma non deve trarre in inganno sulla natura vera della città. Mano a mano che le difficoltà e gli ostacoli che si frapponevano allo sviluppo delle attività extragricole e di controllo della campagna furono superati, la città prese a mostrare con più nettezza la sua vocazione: gli spazi liberi furono in parte edificati, a seconda della domanda di nuove abitazioni che l'afflusso di nuove genti dalla campagna e le mutate condizioni economiche richiedevano; la parte restante fù progressivamente trasformata in giardini, ad eccezione degli orti conventuali vincolati alla coltivazione dalle regole di vita dei monaci. La soppressione massiccia delle comunità di frati e di suore fra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, comportando la riduzione dei complessi conventuali a nuove funzioni, determinò poi la trasformazione dei grandi orti annessi in cortili o in aree edificabili.
L'atteggiamento dei cittadini nei confronti degli spazi liberi entro le mura fu dunque inizialmente produttivo, e così si mantenne in certi casi anche molto a lungo (79); con l'affermarsi però dell'essenza economica della città esso tese a trasformarsi in una duplice direzione: da un lato fu rivolto alla valorizzazione di quegli spazi mediante l'edificazione, dall'altro lato ridusse tutta la «natura» ancora presente a mero oggetto di contemplazione e di decorazione.
Quest'ultimo atteggiamento, che sino al secolo XVIII fu proprio della corte ducale e di una cerchia ristretta dell'aristocrazia nobiliare che ancora poteva disporre di qualche ritaglio di terreno libero all'interno della città, si espresse appieno e in forma generalizzata nello spirito romantico, proprio perché ad esso corrisposero sul piano economico le trasformazioni strutturali caratteristiche della rivoluzione industriale, che indussero sul piano urbanistico al superamento dei confini e dei criteri di crescita della città storica. In tale contesto il verde tese ad assumere un carattere sempre più separato da funzioni produttive, a sottolineare la diversità e la peculiarità dell'ambiente naturale urbano rispetto all'ambiente naturale rurale.
Potenziate le capacità produttive della campagna, accentuate le funzioni di coordinamento della città, in quest'ultima - come già era avvenuto anche nei giardini delle ville nella seconda metà del Settecento - la natura poté liberarsi dai vincoli del bisogno e della necessità, per porsi al servizio dei desideri di evasione del cittadino proprietario, che la retorica ottocentesca dipingeva intento a «rivivere la fantastica età dell'oro, o la sognata innocenza dell'antica Arcadia» (80).
NOTE
1) Una più lontana fase di formazione è quella costituita dall'insediamento militare romano, che risulterà però marginale rispetto allo sviluppo del centro medievale imperniato intorno al
Duomo.
I segni della più antica fondazione romana sono tuttora in parte leggibili nella strutturazione viaria ad assi ortogonali rispetto all'odierno Corso Canalgrande (che doveva rappresentare il
«decumano massimo») nella parte orientale della città.
2) Il carattere rurale, di villaggio, della città medievale è sostenuto particolarmente da L. Mumford, secondo il quale «non soltanto la città murata era sufficientemente piccola per permettere di accedere rapidamente ai campi, ma buona parte della popolazione aveva giardini privati dietro casa e svolgeva attività rurali anche all'interno della città». Egli avverte poi che «...non bisogna guardare le strette viuzze tra una casa e l'altra senza tener conto dei prati o degli orti che si stendevano di solito sul retro» (La città nella storia, Vicenza, 1963, pp. 367-368). Analoga interpretazione fornisce Y. Renouard, Le città italiane dal X al XIV secolo, Milano, 1975, p. 15. Diverso è il punto di vista di L. Benevolo, che fra i caratteri essenziali delle città medievali include quello della «concentrazione». «La costruzione di una nuova cinta - egli scrive - è rimandata finché nella vecchia c'è spazio disponibile; perciò i quartieri medievali sono densi e le case si sviluppano in altezza» (Storia della città, Bari, 1975, p. 310).
3) Le fonti a cui si fa riferimento sono le seguenti:
Statuta Civitatis Mutine a. 1337 reformata, ed. curata da G. Campori in «Mon. di Stor. Patr. delle Prov. Moden.», Serie degli Statuti, t.I., Parma, 1864; A. Tassoni, G. da Bazzano, B. Morano,
Cronache modenesi, in «Mon. di Stor. Patr. delle Prov. Mod.»,
Serie delle cronache, t. XV, Mode-
na, 1888; Memoriali notarili, Ms. nell'ASMo e nell'Archivio Capitolare; Partiti e Atti della Co-munità, Ms. in ASCMo - E.P. Vicini ha studiato con notevole cura le fonti notarili con l'obiettivo di delineare la topografia di Modena medievale. I risultati di queste sue ricerche sono pubblicati nei saggi I confini della Parrocchia del Duomo nel sec. XIV, in «R. Dep. di Stor. Patr. per le Prov. Mod. - Atti e Memorie“, Serie VII, vol. IV, 1927, pp. 65-147, e Note di topografia cittadina medioevale nell'ambito di Modena romana, in «R. Dep. di Stor. Patr. per l'Em. e Rom., Sezione di Mod., Studi e Doc.», vol. I, fasc. IV, Modena, 1938, pp. 197-223. Indicazioni utili egli fornisce inoltre in La navigazione fluviale a Modena nel Medioevo, in «R. Acc. di Scien. Let. ed Arti - Atti e Mem.», Serie V, vol. I, 1936 e nella monografia sul Quartiere di S. Francesco, in «Dep. di Stor.
Patr. per l'Em. e Rom., Sez. di Mod., Studi e Doc.», Nuova Serie, vol. II, 1943, pp. 209-257 (do-ve la passione per la ricerca meticolosa delle fonti e la paziente ricostruzione di luoghi e avvenimenti solo in apertura cede qualche passo alla retorica del «piccone risanatore» mussoliniano).
4) Comune di Modena, Musei civici, Sviluppo urbano ed edilizio a Modena nei sec. XVII e XVIII, Cenni storici, itinerari, schede informative, a cura di G.A. Ghibellini e F. Partesotti, Mode-na, 1976.
5) L'aderenza alle forme naturali del terreno è una costante caratteristica degli aggregati urbani medievali. Diversamente avviene però nei casi in cui le città medievali sorgono sui resti di precedenti insediamenti romani. In tal caso ne assumono integralmente l'impianto, e gli isolati risultano conseguentemente di forma quadrata o prossima al quadrato; le loro dimensioni variano da 70x70 a 150x150 metri (cfr. L. Benevolo, op. cit., p. 220).
6) Sulle strategie e le forme insediative degli Ordini mendicanti all'interno dello spazio urbano cfr. E. Guidoni, Città e ordini mendicanti, il ruolo dei conventi nella crescita e nella progettazione urbana del XIII e XIV secolo, in «Quaderni Medievali», 4, 1977, pp. 69-106; poi ripreso dallo stesso autore in La città dal Medioevo al Rinascimento, Bari 1982, dal, pp. 123-158. Sul tema specifico delle relazioni insediative fra i diversi Ordini nel contesto urbano cfr. J. Le Goff, Les ordres mendiants, in «L'Histoire», 22, 1980, p. 50. Una introduzione di carattere generale sul mo-nachesimo, in cui si considera brevemente anche la genesi delle forme costitutive dell'insedia-
mento conventuale, è data da D. Knowles, Il monachesimo cristiano, Milano, 1969.
7) Cfr. al proposito F. Pollastri, L'arte dei marangoni e l'arte dei muratori a Modena (XV-XVI se-
colo) e V. Pollastri, L'arte dei fabbri a Modena (secc. XIII-XIV-XV), entrambi in «Dep. di Stor.
135-per le ant. Prov. Mod. - Atti e Mem.», Serie X - vol. IX, 1974, rispettivamente pp. 119-134 e
8) Lo ricorda il cronista Morano nelle Cronache modenesi, cit., p. 256.
9) F. Pollastri, op. cit., pp. 123-124.
10) Statuta Civitatis Mutine..., cit., pp. CXLIV-CXLV.
11) M. Cattini, Appunti per un profilo dell'economia modenese dal sec. XI al sec. XVIII, in «Dep di Stor. Patr. per le ant. Prov. Mod. - Atti e Mem.», Serie X, vol. VI, Modena, 1971, pp. 103-123;
G. Salvioli, Studi sulla storia della proprietà fondiaria in Italia - La proprietà fondiaria nell'agro modenese durante l'Alto Medio Evo, in «Atti e Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere e Arti in Modena», 1917, serie V, vol. XI; V. Fumagalli, Città e campagna nell'Italia medievale;
Bologna, 1979.
12) Cfr. G. Salvioli, op. cit., p. 122.
13) Ibidem, p. 124.
14) Ibidem, p. 125.
15) Ibidem, p. 128.
16) Ibidem, p. 128.
17) G. Tiraboschi, Codice Diplomatico, appendice a Memorie storiche modenesi, Modena, 1773,
t. IV, doc. 773.
18) Statuta civitatis Mutine..., cit., III, p. 70.
19) Allodificazione dei possessi della Chiesa imposta dal Comune in favore dei cittadini. Cfr.
G. Tiraboschi, Codice diplom. cit., t. IV, doc. 660, e Statuta civ., cit., Rubr. LXI, Lib. III.
20) G. Campori (Del governo a Comune in Modena, Modena, 1864, II, p. 29) sostiene che fossero 29 mila le «anime» della città; diversamente K. J. Beloch, Ricerche sulla storia della popolazio-
indica la cifra, più attendibile, di 20.000.
ne di Modena e del Modenese («Rivista Ital. di Sociologia», XII, fasc. I, genn. febb. 1908), che
21) Ne fanno fede, ad es., i patti stipulati fra i Comuni di Modena e Lucca nel 1182: Pacta con-
cordiae initae inter consules maiores et consules mercatorum Mutinae et consules maiores et consu-les mercatorum Lucae; cfr. al proposito U. Bongi, Inventario del Regio Archivio di Stato di Lucca, Lucca, 1876, II, p. 233. Altri patti vengono stipulati con Ferrara (1198-99) e con Pistoia (apertura nel 1225 di una strada di collegamento attraverso l'Appennino, che tocca le maggiori comunità del Frignano; cfr. G. Tiraboschi, Memorie... cit., II, p. 116). Alle fonti citate rimanda M. Cattini,
op. cit., pp. 110-111.
22) L. Benevolo, op. cit., p. 310.
23) ASCMo, Atti della Comunità, 13 maggio e 27 aprile 1576; 26 agosto 1577, 27 settembre 1627.
24) Gli stessi nomi assegnati in passato alle strade testimoniano la varietà della composizione sociale e produttiva della popolazione ivi residente. Alcune di esse infatti traevano i nomi dalle attività predominanti che vi esercitavano gli artigiani, altre invece dalle famiglie più ricche, che vi possedevano case ed abitavano. Così, ad es., l'odierno lato ad est di piazza Matteotti, che prima dello sventramento degli isolati preesistenti alla piazza era una via denominata M. Ruini, nel corso del sec. XIV portava il nome di Rua de Miolis, che gli derivava dalla presenza di certi artigiani fiorentini, che vi abitavano e vi avevano impiantato una fornace di vetro: mentre nel secolo precedente la stessa strada era denominata Rua Grasulforum,
«perché sboccava sulla via
Claudia all'incontro delle case e delle torri appartenenti alla fazione Grasolfa o Ghibellina».
Cfr. E.P. Vicini, I confini... cit., pp. 76 e segg., dove oltre a quella menzionata vengono documentate molte altre situazioni analoghe.
25) Il riferimento è ai conventi degli Ordini mendicanti, che, si potrebbe dire, programmaticamente si insediano entro le mura cittadine o nelle immediate vicinanze, influendo direttamente sull'ordinamento dell'impianto urbano esistente all'atto dell'inserimento e su quello dei suoi futuri sviluppi. I conventi dei Benedettini, che già si inscrivono entro la cinta difensiva di Modena nei primi secoli della rinascita seguita alla decadenza del periodo longobardo (monaci di S. Pietro e monache di S. Eufemia), non si qualificano come interventi in grado di influire, se non marginalmente (S. Pietro), sull'immagine e lo sviluppo della città.
26) Cfr. la scheda n. 32/4.
27) E.P. Vicini, op. cit.
28) P. Sella, Glossario latino emiliano, Città del Vaticano, 1937 (Rist. anast. 1973), ad vocem.
29) Sono esempi tratti dalle fonti richiamate in nota nel saggio citato di E.P. Vicini. Negli atti notarili a cui l'A. si riferisce sono indicati i confini dell'immobile oggetto di compravendita o di
passaggio testamentario. Dai nomi primitivi di tali confini è stato a volte possibile giungere alla determinazione della posizione dell'immobile nel tessuto urbano attuale.
Così, nell'isolato at-
tualmente delimitato da piazza Matteotti ad ovest, da via F. Rismondo ad est, da via Emilia a sud e da via Taglio a nord esistevano nel 1379 «duo cassam. contigua cum domibus etc. et cum cuodam cass. ortivo post dicta cassam. et ipsas domus etc.» (Mem. Not. a. 1379, 1, 208). Una «ca-sam cum domo et edifitio, cum toto orto etc.» era situata nell'isolato allineato parallelamente ad est di quello sopra menzionato (Mem. Not., a. 1430-32, n. 1217). A sud della via Emilia, nell'iso-lato prospettante ad est su corso Canalchiaro, delimitato a nord dall'attuale via Livizzani e a sud da via della Vite, si ha notizia dell'esistenza nel 1379 di «quoddam caxam. cum domo etc., et cum quoddam cortile positum post dicta domum et cum orto posito penes dictam» (Mem. Not., a. 1379, iI, 226). Attualmente gli orti a cui si riferiscono gli atti notarili qui riprodotti a titolo esemplificativo non esistono più.
30) Cfr. D. Knowles, op. cit., pp. 108-118.
31) Cfr. E. Guidoni, op. cit., p. 127.
32) Ad es. la prigione per le «femine cattive», che nel 1571 venne rimossa dal Vescovado e col-
locata nei locali del convento del Carmine. Cfr. G. Soli, Chiese di Modena, Modena 1974, a cura di G. Bertuzzi, I, p. 179.
33) E. Guidoni, op. cit., pp. 125-128.
34) Fonte ricchissima di informazioni sulle vicende relative alle comunità religiose modenesi dall'origine agli inizi del nostro secolo è l'opera in tre volumi di G. Soli, Chiese di Modena, cit.
35) E. Guidoni, op. cit., p. 128.
36) Ibidem, p. 131.
37) Il Naviglio fu scavato nel 1055 per trasportare «omnium mercium et spetierum genera Vene-tiam et Ravennam». Cfr. G. Gaudenzi, Monastero di Nonantola, in «Bollettino dell'Istituto Stor.
Ital.», 1900, n. 22, p. 165.
38) A. Tassoni e T. da Morano, Cronache modenesi, cit., p. 45.
39) Gli stessi popolosi sobborghi a cui si riferisce C. Campori in L. Forni e C. Campori, Modena a tre epoche,
Modena 1844, p. 94.
40) G. Soli, op. cit., I, p. 16.
41) Ibidem, p. 16.
42) E. Guidoni, op. cit., pp. 151-152.
43) Ibidem, pp. 138 e segg.
44) Cfr. G. Tiraboschi, Codice diplomatico, cit., III, doc. 443; G. Soli, op. cit., II, p. 191.
45) Ibidem, I, p. 170.
46) L'area su cui sorsero la chiesa ed il convento dei Francescani era denominata «Campo dell'Erba»; i prati ad essa confinanti verso est, sempre compresi nei margini interni della città, servirono da luogo di sepoltura per i corpi di coloro che la Chiesa rifiutava di accogliere nei terreni consacrati; la tradizione popolare diceva che là, a tarda sera, si adunavano le streghe, i demoni e i fantasmi di anime dannate. In seguito questi prati furono adibiti ad uso dei cardatori che vi stendevano i panni cardati (cfr. G. Soli, op. cit., III, p. 7.
47) Ibidem, I, p. 349, II, p. 22; I, p. 170.
48) Ciò è rilevabile più marcatamente nelle città dell'Umbria e della Toscana analizzate da E.
Guidoni, op. cit., pp. 123-158.
49) Le informazioni contenute in un documento conservato in ASCMo, (Amm. Generale, a. 1890, n. 11768, già riprodotte da M. Schenetti, I Cappuccini a Modena, Modena, 1978) ci danno modo di descrivere l'estensione e l'uso di un appezzamento ortivo conventuale. Pur trattandosi dell'orto di un convento situato nell'addizione cinquecentesca e nonostante che il rilevamento risalga all'anno 1890, si ritiene che le colture non si differenzino gran ché da quelle in uso diversi secoli addietro, poiché di alcuni frutti e piante si trova menzione anche negli Statuti cittadini del 1327 (cfr. G. Barbieri, Le norme degli Statuti cittadini e rurali relative alla tutela dell'ambiente nel territorio modenese dei secoli XIV-XV, Tesi di laurea, Bologna, a. a. 1978, pp. 311-314). Si riproduce qui di seguito la descrizione fattane da Schenetti: «Aveva una estensione di 50 are, riguardo alle diverse coltivazioni nel modo seguente: are 1,26 coltivate a fragole; are 1,10 ad aspa-ragi; are 24,6 a prato; un piccolo ritaglio, di piedi 54, era coltivato a carciofi, il restante terreno, pure arativo, più i viali era di are 23,03.
Nell'orto vi si trovavano le seguenti piante: pioppi n. 9; pomi n. 6; peri n. 11; peschi n. 50; amarene n. 6; fichi n. 1; prugni n.
5; noci n. 1; prugno selvatico n. 1; salice n. 1; pomi cotogni n. 5;
altee n. 3; piedi di vite n. 292, sostenute da circa n. 250 pali».
50) P.L. Cervellati (a cura di), Il centro storico di Ferrara, Modena, 1976.
51) La parte di territorio riservata all'approvvigionamento cittadino risulta essere, nei secc. XVI e XVII, quella del Distretto, quale risulta ancora nei confini tracciati nella carta di G.B. Bocca-
badati nel 1681. Cfr. G.L. Basini, L'uomo e il pane, Milano, 1970, pp. 7-11.
52) Ibidem, p. 43.
53) Tommasino de Bianchi detto de Lancellotti, Cronaca modenese, in «Monumenti di Storia
Patria delle Provincie Modenesi», Serie delle Cronache, Parma 1884, vol. XIII, pp. 151 - 152. UI-teriore testimonianza sulla difficile situazione economica di Modena fra Cinque e Seicento è offerta dalla Relazione di Modena (1601-1605) redatta da Lelio Tolomei, ambasciatore del Granduca Ferdinando I de' Medici presso il Duca di Modena, pubblicata a Modena nel 1867. In essa si legge che «tanta è la moltitudine degli abitatori, ed in parte la sterilità del paese, che non può fare che questo Stato non abbia sempre necessità de suoi vicini, perché se non fosse Mantova, la Mirandola e Ferrara, la Romagna piana, che a vicenda secondo la soprabbondanza loro, lo soc-corrono, qua sarebbe sempre penuria grandissima di grano, del quale è opinione di molti che questo Stato ricolga poco più che per la metà del suo bisogno“.
54) Cfr. G.L. Basini, op. cit., p.23.
55) Dalla Cronaca di T. Lancellotti, cit., vol. X, p. 34, 10 marzo 1547: «Li Borghesani che sono dreto al Navilio, e in altri luoghi circonvicini, dove se ha a fare el cavamento per il grandimento che se ha affare hanno avuto comandamento de vodare le case, maxime quelli delle case del Sig.
Conte Ercole Rangoni, e quelle de Mess. Franc.co M. Valentino, et altri e tutti sono de malissi ma voglia, perché non sanno dove andare per essere le case delli Borghi e della Città piene di
56) L'acquisto, nel 1537, dell'area per la costruzione delle «Caselle» da adibire ad alloggiamento dei soldati. situata in una parte dell'orto annesso alla casa di Agostino Bellincini e confinante con le mura a sud della citta, comporto una spesa assai rilevante da parte della Comunità di Mo-
dena; lo ricorda il cronista T.Lancellotti, Cronaca, cit., vol. V, p. 354.
57) Nella Cronaca di T. Lancellotti, cit. vol. VI p. 182. alla data del 24 ott 1536. dove si parla della costruzione dei Bastioni intorno alla città, è scritto fra l'altro: «Tutte le soprescritte Fortezze se avranno a murare fra poco tempo, acciocché la città sia forte, benché a nui Modonesi s'era stato promiso che lo Ill.mo Duca voleva grandire la città e spenderge scudi 140.000 e nui se ge obbligassimo a pagare L. 75.000 in tempo de anni 25 in fare ditto grandimento, pensando che al se avesse a pagare li terreni e li edifitii a ogni homo, et è stato il contrario. La città non se ne grandisse, ma se fortifica... e sin qui se pagato il terreno, e la Mag.ca Comunità paga ogni mese la deputazione de L. 3000 l'anno, secondo ge stato promesso».
58) Nella stessa Cronaca, cit. vol. X, p. 52, al giorno 8 aprile 1547, dopo la descrizione degli ordini lasciati dal Duca al Governatore di Modena, relativi all'ampliamento della città, si legge:
«e qualcuno restarà malcontento del predetto grandimento per el suo terreno che andarà in Fossa e ripari; e chi restara dentro sarà contentissimo».
59) Sui criteri stabiliti dalla Comunità per l'edificazione nella zona di Terra Nuova cfr. G. Ber-tuzzi e L. Righi, Note storiche, in Nella sede del Palazzo Molza, suppl. al n. 1, 1977 di «Modena Economica», periodico della Cam. di Comm. Ind. Art. Agr. di Modena.
60) Le prescrizioni dei Conservatori erano valide per gli edifici che sorgevano sui terreni di proprietà pubblica concessi a livello. Non si hanno notizie di analoghe prescrizioni per la costruzione sui terreni di proprietà privata, ma «è probabile - affermano Bertuzzi e Righi — che seguissero quei suggerimenti dati dalla Comunità». Del resto, la pianta prospettica della prima metà del Seicento produce un'immagine dell'addizione che non contraddice tale supposizione.
61) Cfr. E. Guidoni, op. cit., p. 154.
62) Sulla situazione economica, le trasformazioni degli assetti proprietari e sul contesto politico-sociale di Modena capitale nell'età di Antico Regime cfr. L. Amorth, Modena Capitale, Mo-dena, 1967, pp. 114-117; M. Cattini, Appunti, cit. Nella raccolta di AA.VV., Storia dell'Emilia Ro-magna, Bologna, 1977, cfr. i saggi di G. Angelozzi, Le strutture sociali, II, pp. 131 e segg. e di A.
Biondi, I ducati dell'Emilia occidentale nel periodo di Antico Regime, II, pp. 35 e segg.
Per le notizie generali sull'attività edilizia nel corso dei secoli XVII-XVIII si rimanda a Comune di Modena - Musei Civici, Sviluppo urbano ed edilizio a Modena nei secc. XVII e XVIII, cit. e a
R. Fregna, Città e investimenti, in AA.VV. Storia, cit., II, pp. 273-316, in part. le pp. 304-306.
63) Cfr. G. Zarri, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nell'età della Controriforma, in AA.VV.,
Storia, cit., II, pp. 245-270 e A. Biondi, I ducati, cit.
64) L. Amorth, op. cit., p. 13.
65) Deve essere sottolineato, a mio avviso, che gli Ordini sono stati di fatto gli unici soggetti sociali in grado di calarsi in un contesto urbano già ampiamente definito nelle articolazioni spaziali e funzionali e di rimodellarlo sistematicamente secondo criteri insediativi costanti, che, mentre hanno lasciato una traccia di sé ancora oggi chiaramente leggibile - nonostante tutte le trasformazioni subite nel tempo — testimoniano altresì nei risultati finali l'instaurazione di un conti-ruo e stretto rapporto col tessuto preesistente; frutto, o forse conseguenza necessaria, di un'opera di «ricucitura» realizzatasi lentamente ma con costanza. Un'opera, fra l'altro, alla cui concretizzazione si sono frequentemente frapposte difficoltà e ostacoli, non soltanto di natura tecnica e finanziaria, ma originati da conflitti vertenti sulla occupazione e trasformazione dello spazio an-bano, sia pubblico che privato (conflitti tanto più comprensibili se si pensa alla ristrettezza del campo d'azione, vale a dire alle limitate dimensioni della città, dove la presenza di ognuno - i tradotta in termini edilizi e spaziali - risulta da una lotta che a volte non sa contenersi entro i termini fissati dai regolamenti della Comunità). Si leggano al proposito le numerose testimonianze riportate da G. Soli nel suo lavoro sulle Chiese di Modena, cit.
66) Dalla Cronaca Spaccini 30 agosto 1599• all Sig Andren Moli sul cantone del Castellaro dalla Piazzetta vi fa una facciata con una rinohiera: : Palugoli fanno una bellissima facciata (al loro palazzo); il Sig. Marchese Bentivoglio... ha fabbricato quasi di nuovo il palazzo del Sig.
Marchese Kangoni... essendo assai tempo che non vi sta nissuno et per questo andava a ma-
le...»; già cit. in L. Amorth, op. cit., p. 13.
67) L. Amorth, op, cit. p. 23. Utile fonte di concultazione sono le Memorie dall'anno 1730 a. 1796 per servire alla storia delle fabbriche, ristauri oblollimenti od orati di Modena Parma, 1854
Cfr. infine G. Bertuzzi, Il rinnovamento edilizio a Modena nella seconda metà del Settecento, I,
La via Emilia, Modena, 1981.
68) Cfr. F. Venturi, Settecento riformatore, Torino 1969, pp. 411 e segg.
69) A. Biondi, op. cit., pp. 49 e segg.
70) Cfr. Memorie, cit. pp. 32-33.
71) Case operaie, progetto per erigerne a vantaggio dei poveri, Ms. in ASMo, Magistr. d'Acque e
Strade, Acque modenesi, Canali per denominazione, b. 5, fasc. Case operaie.
72) L'espressione è di L. Pucci, Aspetti e problemi relativi alla povertà a Modena tra Sette e Otto-cento, in «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le antiche Provincie Modene-si», Serie XI, vol. III, 1981, pp. 165-180.
73) Case operaie, cit.
74) Ibidem. Sostiene Fumagalli, op. cit., p. 30, che sino al sec. XII Modena (al pari di Mantova, Parma, Reggio) era «città che si reggeva... su di un'economia agricola e di allevamento». In se-guito presero lentamente ad evolversi «strutture più marcatamente urbane, con un ceto borghese
75) Alcune brevi ma utili considerazioni sul passaggio della città da centro di amministrazione delle attività agricole a centro industriale-commerciale (da aggiungersi a quelle già precedentemente indicate alla nota 2) sono contenute in Y. Renouard, op. cit., p. 15.
76) Dagli Statuti cittadini del 1327, cit., L. MI, Rub. XLI, p. 318: «... ordinatum est pro publica utilitate quod quelibet persona que habet clausuram infra confines civitatis... teneatur et debeat plantare seu plantari facere tres plantas de ficubus et tres de moris et totidem de pomis granariis et tres amandolos et eas custodire et allevare, et hoc teneatur laboratores et tezolani: et qui contrafa-
cerit solvat pro banno quolibet anno tres libras Mutine».
77) Cfr. G. Serra, La peste dell'anno 1630 nel ducato di Modena, Modena, 1960.
78) Ancora alla fine del XVIII secolo si ha testimonianza che animali venivano allevati in città.
Lo prova un ricorso del parroco di S. Francesco nel 1779 contro Marianna Ponzia e Giuseppe
Cavallini perché «desistano di pascolare con animali porcini, pecore e cavalli nel sagrato, ché, oltretutto, lo danneggiano e qualche volta s'introducono in chiesa», ASCMo, Partiti, 18 giugno
1779 (La testimonianza è riferita da G. Soli, op. cit., II, p. 42).
79) Cfr. in questo stesso volume C. Ghelfi, Il verde pubblico dalla fine del Settecento alla fine
80) C. Malmusi, La villa Sorra-Frósini in Gaggio, in «L'Indicatore modenese», anno I, n. 11,
1851. Su questi temi cfr. il num. 30 della rivista «Lotus international», 1981/I, dedicato al parco urbano moderno, e in particolare i saggi di M. Mosser, Il pittoresco nella città - Giardini privati a
Parigi nel XVIII secolo, pp. 29-35 e di G. Venturi, Il giardino informale in Lombardia - Utopia , politica, arte all'inizio del XIX secolo, pp. 39-45, con utili riferimenti bibliografici riportati in no-ta. Fra i divulgatori modenesi del nuovo gusto per la natura é da ricordare Giovanni Brignoli di Brunnenhof, professore di botanica e di agraria all'Università di Modena e direttore dell'Orto botanico dal 1817, che tracciò nel 1827 il nuovo disegno del giardino di villa Sorra a Gaggio (cfr.
C. Malmusi, art. cit.). Si rimanda, fra i suoi saggi, a Del giardinaggio in Italia e della precedenza degli italiani in alcune pratiche giardinesche, Modena, 1846, nel quale si rivendica il primato degli antichi romani sulle «pratiche giardinesche» soltanto «riscoperte» e fatte passare per novità so-prattutto da francesi e inglesi. In un momento nel quale gli elementi e i luoghi ormai comuni del giardino all'inglese divengono moda - anche a Modena nel corso della prima metà del sec KIX tutti o quasi i giardini, sia quelli compresi entro il perimetro delle mura che quelli delle ville esterne, cambiano il disegno - altri cittadini modenesi guardano con maggiore attenzione alla cultura del paesaggio. Così ad es. Cesare Campori, in una cronaca di viaggio pubblicata su
«L'Indicatore modenese» nel 1851 (Ville Reali presso Londra, anno I, pp. 103-104), fa notare la relazione che intercorre fra il giardino «paesaggistico» ed il clima particolarmente piovoso dell'Inghilterra, e spiega che «in Italia si fanno parchi inesattamente chiamati inglesi», peraltro «deliziosi per folte ombre e per frequenti luoghi di riposo» e per questo «convenientissimi al caldo estate italiano ..Gli inglesi - egli ürosegue - anzichè le ombre amano le larghe aperture disalberate ove godere quel po' di luce e di sole che il cielo consente loro".
disalberate ove godere quel po' di luce e di sole che il cielo consente loro»